Relazione del Rettore Carmine Di Ilio

Carmine Di Ilio

Autorità, Magnifici Rettori, colleghi docenti e tecnici amministrativi, cari assegnisti, borsisti, dottorandi, care studentesse, cari studenti, signore, signori, graditissimi ospiti, a tutti voi che a vario titolo svolgete attività lavorativa nel nostro Ateneo porgo il più cordiale benvenuto e vi ringrazio per aver voluto condividere con noi la cerimonia inaugurale dell’anno accademico 2016/2017, che testimonia la vostra benevola attenzione per la nostra Istituzione.

In apertura, ho il piacere di comunicarvi che l’aula in cui ci troviamo, sarà dedicata al prof. Francesco Antonio Manzoli (28 settembre 2015), primo preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della nostra Università. Saluto e ringrazio la sig.ra Lia Manzoli che con i figli Lucia e Lamberto hanno accettato di essere oggi con noi. A Chieti ci sono anche le fondamenta della sua prestigiosa scuola accademica e numerosi sono gli allievi, istologi e anatomici che si sono succeduti negli anni nel nostro ateneo e altrettanto numerosi sono quelli che fanno ancora parte del nostro corpo docente che condividono con noi questa cerimonia. Questa intitolazione è per ricordare il suo appassionato e decisivo contributo profuso per la nascita della Facoltà di Medicina e Chirurgia che ha guidato in maniera sapiente nelle sue prime fasi di espansione; per l’infaticabile lavoro svolto per convincere molti riottosi a rendere operativo, tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977, il trasferimento, in questo edificio, delle strutture del triennio biologico della Facoltà inizialmente collocate nella parte alta della città presso gli insufficienti e inadeguati locali dell’antico edificio carcerario denominato San Francesco da Paola di via Nicolini, trasferimento che ha dato l’avvio e permesso la successiva realizzazione dell’attuale campus; per l’operosa caparbietà con la quale si è adoperato per trovare, in una fase molto delicata della storia della nostra istituzione, le risorse necessarie per allestire questa aula, prima aula magna del nostro Ateneo.

Oggi, questa cerimonia acquista un particolare significato. Avviene in occasione del cinquantesimo anno di storia della Facoltà ricordando che nell’estate del 1967 il “Consorzio per la Libera Università degli Studi Gabriele D’Annunzio”, presieduta dal mai dimenticato on. Antonio Mancini”, si fece promotore ed organizzò i primi corsi liberi aperti agli studenti che per l’a.a. 67/68 avevano scelto di iscriversi al primo anno della nascente Facoltà di Medina e Chirurgia. Facoltà che insieme a quelle di Architettura e Scienze Politiche andavano ad aggiungersi ad Economia e Commercio (con annesso corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere) Lettere e Filosofia e Giurisprudenza che erano già operative nel nostro giovane Ateneo.

Prima di passare ad altri argomenti consentitemi di rivolgere un pensiero riconoscente ad alcuni nostri illustri docenti che non sono più tra noi ma che appartengono alla nostra storia e hanno molto significato per il nostro Ateneo. Luisa Mucciante, Sara Santoro Bianchi, Francesco Garofalo, Tarcisio Paniccia e Mario Bressan che sottratti all’affetto dei propri cari e dei propri studenti lasciano un vuoto incolmabile avendo contribuito in maniera determinante allo sviluppo scientifico della nostra comunità.

Ritorno per un istante sugli eventi che per tutto l’anno passato abbiamo promosso e organizzato per ricordare i 50 anni dal riconoscimento giuridico della nostra Università avvenuto nel maggio 1965. Abbiamo mantenuto, a tal riguardo, un profilo molto basso e leggero per rendere più consono il senso delle celebrazioni al momento di grande difficoltà economica e sociale che si sta vivendo ma che comunque ci hanno ugualmente consentito di ricordare gli importanti insegnamenti derivanti dalla lunga e travagliata strada che l’Ateneo ha percorso sin a oggi e non dimenticare le “ragioni fondanti” che hanno condotto alla sua nascita. Ragioni che sono ben espresse in un passaggio della relazione che accompagnava la proposta di legge di statizzazione dell’Ateneo presentata nel 1977 in parlamento dall’on. Antonio Mancini: “la mancanza di un Ateneo è stata una delle cause che hanno contribuito a deprimere l’economia e ad accentuare l’isolamento privandola dei suoi ingegni migliori si che alla dolorosa emigrazione di centinaia di migliaia di lavoratori costretti altrove a cercar fortuna, si è aggiunta la forzata diaspora dei suoi artisti, dei suoi letterati, degli insigni maestri di medicina, di diritto, dei suoi scienziati dei suoi tecnici [......], gli abruzzesi dal 500 in poi tentarono di crearsi da sé facoltà universitarie, che a L’Aquila a Chieti a Teramo sorsero e si affermarono ma furono perentoriamente stroncate prima dai re di Napoli (Aragonesi, Angioini, Borboni), tutti desiderosi di poter controllare direttamente la formazione intellettuale della classe dirigente obbligando i giovani a frequentare l’unica università ammessa nella metropoli partenopea. Tenere a mente queste parole, che sono nelle “carte fondanti” del nostro ateneo è molto importante; dobbiamo avere la consapevolezza, che nonostante le clausole di salvaguardia, se non si interviene in maniera decisa, le misure che da alcuni anni si adottano in materia di Università possono provocare effetti negativi sugli attuali equilibri del Sistema Universitario Italiano poiché hanno come conseguenza il differenziamento tra un numero limitato di Atenei sui quali convogliare le risorse e tutti gli altri lasciati ad un futuro irto di difficoltà. Evitare che il nostro Ateneo possa appartenere a quest’ultimo gruppo è un dovere di tutti.
E’ dunque necessario operare con grande partecipazione affinchè gli effetti distorsivi dell’ evoluzione della normativa che regola la vita degli Atenei non abbia ricadute negative sul futuro della nostra Università e la sua missione e cioè quella di porsi come organico strumento di sviluppo e rinnovamento volendo contribuire al progresso economico, civile e sociale della nostra regione desideroso di radicarsi sempre più al proprio territorio, alla propria comunità di riferimento alla propria storia territoriale senza per questo perdere di vista i valori della universalità della istituzione accademica.
Ad oggi vi è un dato che ci conforta molto. Registriamo una straordinaria crescita nelle immatricolazioni, superiore al 13% rispetto al precedente anno, sono più di 6.600 gli studenti che si sono iscritti al primo anno dei 53 corsi di laurea triennali e magistrali che compongono l’offerta formativa del nostro Ateneo. Un dato importante quello della crescita delle immatricolazioni che unito al lusinghiero risultato relativo alla distribuzione del fondo di funzionamento ordinario che ci consegna più di 91 milioni di euro di trasferimento statale frutto di una apprezzabile valutazione della qualità della nostra attività didattica e di ricerca da parte dell’ANVUR e che consolida i risultati ottenuti in questi ultimi anni (un aumento di circa 13 milioni di euro di FFO dal 2013) ci consente di guardare al futuro prossimo con discreto ottimismo. L’aver raggiunto e mantenuto una stabilità economico-finanziaria di rilievo ci ha consentito di incrementare, le risorse destinate alla ricerca scientifica (4.0 milioni di euro), ai corsi di dottorato (3.5 milioni di euro), al reclutamento di giovani ricercatori e assegnisti (3.5 milioni di euro), di potenziare i servizi agli studenti per un valore di oltre 2 milioni di euro e di poter programmare ulteriori assunzioni di personale docente e tecnico-amministrativo che si andranno ad aggiungere a quelle già programmate negli ultimi tre anni ossia più di 50 nuove posizioni di ricercatore o docente, più di 120 posizioni in avanzamento di carriera 19 di personale tecnico amministrativo e 8 di collaboratori esperti linguistici. Sarà inoltre possibile rimodulare la tassazione studentesca allargando la fascia della no- tax area per gli studenti a basso reddito familiare e premiare i ragazzi meritevoli.
I buoni risultati economici ci hanno anche permesso di avviare un potenziamento del patrimonio edilizio e di messa in sicurezza di quello esistente. Per la sede di Pescara si è già avviata la gara di aggiudicazione dell’incarico per la realizzazione di una grande e moderna biblioteca, circa 3.000 metri quadri da mettere al servizio degli studenti ma concepita anche come spazio culturale aperto alla fruizione della cittadinanza in piena sintonia con i programmi avviati dell’amministrazione comunale di trasformare l’area intorno a Viale Pindaro in un polo della conoscenza centrato sull’Ateneo. E’ in fase di progettazione definitiva e esecutiva la nostra partecipazione alla ristrutturazione e riqualificazione dell’ ex “Caserma Bucciante”, che inserita in un progetto cittadino di rigenerazione urbana che include il polo museale, la nuova biblioteca De Meis, e l’archivio di stato porterà alla costituzione di una cittadella della cultura che permetterà anche di riportare nella parte alta della città di Chieti alcune qualificate attività formative, servizi per gli studenti dei corsi di dottorato e dei master, la creazione di polo convegnistico e una Foresteria per studenti e visiting professors che andrebbe a rafforzare la nostra volontà di internazionalizzare Ateneo. Questi interventi, per un valore di circa 30 milioni di euro, sono azioni concrete che testimoniano una precisa volontà di sviluppare sinergie virtuose con le amministrazioni locali a sostegno della crescita socio-economica e culturale delle comunità di riferimento.
L’anno accademico che sta iniziando è l’ultimo che ho l’onere di inaugurare in quanto il mio mandato si concluderà il 31 ottobre del 2017. Un mandato il mio che si è collocato in un arco temporale particolarmente delicato attraversato da una crisi economica finanziaria che non è ancora del tutto terminata nonostante le riforme introdotte dal governo e la politica monetaria condotta dalla Banca Centrale Europea. Una crisi che ha avuto pesanti ricadute sul sistema universitario italiano che ha prodotto tagli di risorse (un miliardo circa in meno dal 2009 al 2015, che ha contribuito a far scendere la spesa pubblica per l’istruzione da 1.308 a 1.026 euro pro-capite), limitazione del turnover del personale e blocco degli scatti stipendiali dei docenti. Un periodo caratterizzato dalla piena entrata a regime della legge 240 del dicembre 2010 (cosi detta legge Gelmini) che ha sostanzialmente modificato l’assetto di governo e il modello di governance e di finanziamento delle Università affidando all’ANVUR, una agenzia di valutazione esterna, i criteri sui quali basare la distribuzione di buona parte del Fondo di Finanziamento Ordinario (il 20% del totale per quest’anno e che andrà costantemente ad aumentare nei prossimi anni). Profondi cambiamenti del quadro economico e normativo di riferimento ai quali abbiamo dovuto dare risposte adeguate, modificando una consolidata strategia di gestione dell’Ateneo, iniziando e conducendo un processo di cambiamento profondo del modello organizzativo strutturale e regolamentare che guardando alla piena sostenibilità economica- finanziaria potesse attraverso una rispettosa applicazione delle norme amministrative, renderlo più attrattivo verso gli studenti e i ricercatori, maggiormente impegnato nella qualificazione dei giovani e più attrezzato ad affrontare i temi della valutazione della didattica e della ricerca; temi sui quali si gioca in gran parte il futuro e la credibilità dell’ Ateneo.
Tra le molteplici questioni affrontate ricordiamo: la riqualificazione e riorganizzazione della struttura amministrativa con l’adozione di una nuova pianta organica; una decisa spinta verso la dematerializzane e informatizzazione dei servizi; la ristrutturazione dell’attività didattica con l’adeguamento al sistema di valutazione e accreditamento dei corsi di laurea; la riforma del sistema di contabilità con l’adozione del bilancio patrimoniale e del bilancio unico; la formulazione di nuovi criteri per la distribuzione delle risorse economiche ai dipartimenti, alla ricerca di Ateneo e ai progetti di dottorato; l’ adozione di un gran numero di regolamenti come conseguenza dell’applicazione dell’art. 5 della legge 240 del 2010 che ha prodotto una ipertrofica e insopportabile burocratizzazione del sistema; la rivisitazione del meccanismo di contribuzione studentesca; la sottoscrizione dei nuovi protocolli d’intesa con la regione per regolare i rapporti tra università e sistema sanitario regionale; la riformulazione dello statuto della Fondazione; il rilancio della università telematica “Leonardo Da Vinci” attraverso la ricerca di nuovi partner economici; e affrontare temi sensibili come il salario accessorio del personale tecnico amministrativo, e contenziosi rilevanti quali quelli con il CUS e con la società “Villaggio Mediterraneo”. Molte di queste questioni hanno generato al nostro interno una notevole tensione e causato resistenze che non hanno agevolato il processo di rinnovamento. Un cambiamento organizzativo e comportamentale necessario che deve ancora proseguire senza il quale sarà difficile affrontare le prossime sfide che attendono la nostra Università. Per adeguarsi in maniera fattiva a uno scenario di intenso cambiamento senza adagiarsi su antiche ritualità, vecchie abitudini e obsolete procedure occorre la partecipazione convinta di tutti. Mi auguro che tutti, seppure a diverso titolo sentono la necessità di essere protagonisti del cambiamento.

Se il lavoro eseguito in questi anni di mandato rettorale sono necessariamente serviti a dare al nostro Ateneo un assetto economico, organizzativo e regolamentare più rispondente ai bisogni di cambiamento, nel prossimo futuro l’azione di governo dovrà proseguire con una decisa politica d’investimenti in risorse umane, tecnologiche e infrastrutturali per la creazione di un Ateneo più moderno, tecnologicamente più avanzato e più sicuro, al servizio degli studenti e della ricerca, sempre più integrato con il proprio territorio, pronto ad affrontare con competenza la competizione con gli altri Atenei in tema di offerta didattica e qualità della ricerca.
Una competizione che stimoli tutti a innalzare la qualità media dell’ Ateneo senza rinunciare a punte di eccellenza. Ciò che dobbiamo temere e adeguatamente contrastare sono le disposizioni ministeriali che unite a nostri errati comportamenti, hanno l’effetto di produrre differenze tra le quantità di risorse statali che ci vengono trasferite e che spostano sugli studenti e le loro famiglie il peso economico della formazione. Tutto ciò potrebbe mettere a rischio il futuro della nostra Università e il ruolo fondamentale di presidio sociale ed economico che insieme alle altre Università della regione svolge sui territori e sulle nostre popolazioni che oggi più di altre pagano la crisi che stiamo da lungo tempo vivendo e che in questi giorni sono state duramente colpite e stremate dagli effetti del sisma e della neve. Dobbiamo organizzarci per migliorare l’attuale offerta formativa, e mettersi al servizio degli studenti per contenere l’esodo dei nostri giovani verso le università del nord e quelle straniere. Un esodo che produce una grande perdita in capitale umano e di risorse economiche in tasse che interamente a carico delle famiglie del sud vanno verso le università del nord e che si aggiungono ai danni dovuti alla fuga dei laureati del sud che cercano lavoro al nord o all’estero. Un investimento senza ritorno per tutto il territorio. Se si considera che la spesa per studente sostenuta dalle pubbliche istituzioni per rutti gli anni che servono per completare il ciclo dell’istruzione, dalla scuola primaria fino alla laurea ammontano a circa 110.000 mila euro (stima OCSE), il mancato ritorno dell’investimento realizzato dal nostro paese per i circa 5.000 laureati meridionali che ogni anno lasciano l’Italia è ingente, sono circa 550 milioni l’anno. Un impatto economico devastante per il mezzogiorno, una riduzione di opportunità per tutti quei territori, compreso il nostro che contribuiscono a formare un capitale strategico per il nostro futuro che però viene speso altrove.
Una situazione che segnala l’urgente necessità di analisi corrette del fenomeno, di interventi correttivi adeguati che permettono di migliorare l’attrattività degli studenti ristabilendo le opportunità per poter competere con l’intero sistema universitario italiano. La nostra Università, in collaborazione con le altre del Sistema Universitario Regionale deve porsi come strumento efficace per sottrarre i nostri territori da un destino di inesorabile impoverimento dovendo perseguire l’obiettivo di condurci verso la nuova frontiera tecnologica e dell’innovazione. La fuga dei giovani laureati oltre al danno economico per le finanze pubbliche italiane pone seri problemi non solo per il presente ma anche per il futuro dell’Italia. Se la gran parte di loro si sposta all’estero per trovare lavoro, dobbiamo chiederci quale sarà il livello delle nostre classi dirigenti fra dieci e più anni? Siamo di fronte ad uno spaventoso impoverimento professionale e intellettuale che si aggiunge a quello demografico (lo scenario futuro porta a un rapido invecchiamento delle popolazioni e delle classi dirigenti), a fronte del quale non si è ancora in grado di mettere in atto terapie adeguate. Se ogni anno più di centomila giovani (quasi quanti gli abitanti di una città come Pescara abbandonano il sud, nei prossimi cinquanta anni il meridione potrebbe perdere più di quattro milioni di residenti un fenomeno che potrebbe contribuire in maniera significativa a rendere incolmabile il divario tra nord e sud. Nel nostro paese vi è una vera e propria emergenza giovanile di cui si ragiona e si discute poco alla quale anche il sistema universitario deve dare risposte concrete, che non è solo caratterizzata dalla fuga dei laureati poiché abbiamo oltre 2.3 milioni di giovani under 29 che non studiano, non lavorano e non sono in cerca di una occupazione (i cosidetti Neet; l’Italia ha il triste primato di contenere la più grande popolazione europea di Neet) a cui si aggiunge una disoccupazione giovanile degli under 25 che si attesta intorno al 40% con punte che raggiungono il 60% al sud. Oltre 35 miliardi di Euro è la perdita dovuta alla mancata partecipazione dei Neet al mercato del lavoro in Italia. Rimanere per lungo tempo fuori dal mercato del lavoro e dell’istruzione può portare a sotto-occupazione o a disoccupazione cronica, aumentando notevolmente il rischio di esclusione sociale che può indurre un senso di disaffezione verso le istituzioni, tale da condurre alcuni giovani fuori dalle regole del sistema democratico. Una questione, quella giovanile che è diventata drammatica e che il Jobs act e la massiccia decontribuzione alle imprese per i contratti non ha ad oggi, contribuito a risolverle e che il progetto europeo di “Garanzia Giovani” peraltro affidato ai poco efficienti “centri per l’impiego” si è fino ad ora dimostrato inadeguato avendo prodotto solo qualche decina di migliaia di tirocini senza incidere profondamente sugli sbocchi lavorativi duraturi. E’ evidente, che a oltre due anni e mezzo dall’inizio del programma europeo è necessario ripensare e modificare la struttura del programma stesso. E’ necessario interrogarsi sui fattori che guidano la scelta a un determinato Ateneo da parte dei giovani diciottenni e capire a fondo il fenomeno della crescente mobilità geografica lungo la direttrice sud- nord-estero. La riduzione dell’offerta formativa, causata da una minore disponibilità di risorse e dalla limitazione del “turnover dei docenti”, che ha maggiormente colpito le Università del sud può solo in minima parte giustificare la maggiore propensione a trasferirsi al nord.
Le maggiori opportunità occupazionali possono sicuramente motivare molti studenti a muoversi dal mezzogiorno verso il nord e l’estero. In ogni caso, il non rispetto della meritocrazia, le ristrette opportunità di avanzamento di carriera, forme contrattuali precarie, penuria di servizi di sostegno all’occupazione, interesse al completamento della propria formazione all’estero e soprattutto il debole collegamento tra Università e mondo produttivo possono essere sicuramente annoverate tra le cause dell’emigrazione. Dobbiamo chiederci quanto nelle scelte di mobilità influisce la qualità delle nostre sedi e cioè se si è in grado di proporsi come fulcro fondamentale di nuovi modelli di conoscenza e innovazione ed essere capaci di far fronte alle necessità di una società in continua e perenne evoluzione. La formazione è la principale forza che può portare allo sviluppo, capace di difendere l’occupazione e creare nuovi posti di lavoro. In una fase in cui i tempi e i modi del lavoro cambiano così velocemente la formazione stessa non può diventare parte del problema. La tecnologia resta al centro della questione. L’Internet delle cose e l’industria 4.0 (cioè la quarta rivoluzione industriale) che avranno un ruolo fondamentale nel produrre nuovi mestieri e nuovi manufatti hanno bisogno di una formazione continua. La globalizzazione e la tecnologia digitale modificano la velocita con la quale evolve il mercato del lavoro; le macchine stanno continuamente sostituendo i lavori ripetitivi, e inadeguati livelli di istruzione e qualificazione professionale costituiscono le premesse alla disoccupazione e alla espulsione dal mercato del lavoro. Da oggi al 2025 secondo la Ue solo un lavoro su dieci non richiede una preparazione particolare. Dunque, le competenze sono un valore fondamentale e pertanto le università e più in generale il sistema dell’istruzione devono cambiare e presto, devono prepararsi, attrezzarsi, rivitalizzarsi per formare giovani in un mondo che cambia con grande velocità. In un mondo dove le logiche del lavoro saranno diverse da quelle di oggi, dove i mestieri che implicano competenze intellettuali e conoscenze specifiche saranno sempre più richieste e dove molti lavori ai quali oggi siamo abituati spariranno definitivamente. Oltre la metà dei lavori che fra venti anni saranno svolti devono ancora essere inventati e nel frattempo la metà di quelli che conosciamo saranno automatizzati. Lo stato dovrà accompagnare questa delicata trasformazione intervenendo su scuola e università, sulle politiche occupazionali e sul sistema del welfare. Nel 2020 il problem solving sarà la soft skill più ricercata e diventeranno ancora più importanti il pensiero critico e la creatività. Per adesso è paradossale apprendere che Confindustria sta cercando 60 mila profili professionali che il sistema della formazione non è in grado di fornire.
Se la nostra università, nata per rispondere ai bisogni che abbiamo prima ricordato, interagendo con il sistema produttivo, saprà velocemente adeguarsi ai mutamenti della realtà e saprà assecondare i nuovi bisogni di una società che richiede in continuazione figure professionali duttili e dotate di un alto grado di competenze intellettuali, ed essere in grado di saper elaborare sapere scientifico innovativo, continuerà ad avere un futuro importante per il nostro territorio e il nostro paese.
Con questi sentimenti, e ringraziando quanti, in questi anni hanno lavorato con me con impegno e dedizione al servizio dell’ ateneo
dichiaro ufficialmente aperto l’anno accademico 2016/2017 dell’Università degli studi “Gabriele D’Annunzio” 51° dal riconoscimento giuridico.