Relazione del Rettore - Carmine Di Ilio

La parola al Rettore
Carmine Di Ilio

Autorità Civili, Religiose e Militari, Magnifici Rettori, Colleghe, Colleghi, Ricercatori, Tecnici e Amministrativi, cari Assegnisti, Borsisti, Dottorandi, care Studentesse, cari Studenti, Signore, Signori, graditissimi ospiti, a tutti voi che a vario titolo svolgete attività lavorativa nel nostro Ateneo il più sincero ringraziamento per la partecipazione a questa cerimonia inaugurale testimonianza della vostra benevola attenzione per la nostra Istituzione.

La legge Gelmini

Sono trascorsi quasi tre anni dall'approvazione della legge di riforma 240/2010 (meglio conosciuta come legge Gelmini) che avrebbe dovuto permettere agli Atenei di coniugare autonomia e responsabilità di governo. Ebbene, dopo questo primo triennio continuano a essere presenti segnali contraddittori che provocano, in chi opera negli Atenei, un grande senso d’incertezza rendendo incomprensibile quale sia, a parte il taglio dei finanziamenti e le limitazioni al turn-over, l'indirizzo che si intende perseguire in materia di Università.

La legge di riforma ha sostanzialmente modificato l’assetto di governo delle Università imponendo l’inserimento di personalità esterne ai ruoli universitari nei consigli di amministrazione, ha cancellato le vecchie Facoltà, ha messo a esaurimento i ricercatori a tempo indeterminato creando la figura del ricercatore a tempo determinato. Ha affidato all'agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), la vigilanza sull’attivazione dei corsi di laurea e di dottorato. Ha modificato il modello di finanziamento delle Università (FFO) con l’introduzione di una quota premiale che sarà percentualmente sempre più elevata nei prossimi anni (il 13% dell’intero FFO per il 2013). Le Università sono state spinte a predisporre procedure di reclutamento del personale docente e ricercatore basate su un farraginoso e dispendioso meccanismo di abilitazione scientifica nazionale e concorso locale i cui deleteri effetti stanno per abbattersi sulle Università e sui commissari. Tutto ciò nella convinzione che, con l’introduzione di queste disposizioni, le Università Italiane avrebbero avuto un ruolo di rilievo in Europa nel campo della ricerca e dell'alta formazione e che avrebbero ottenuto un recupero del FFO in proporzione alle loro prestazioni. 

Riduzione del FFO

Ma purtroppo l’FFO ha subito una riduzione progressiva fino a quasi 1,3 miliardi di euro rispetto ai 7,5 originari del 2008 impedendo a tutti gli Atenei un turn-over che permettesse di rinvigorire le loro attività di ricerca con l'inserimento di un numero sufficiente di giovani studiosi meritevoli. I bilanci legati all’austerità stanno compromettendo lo sviluppo di ricerche innovative che potrebbero aiutare il nostro paese a uscire dalla crisi economica, e cosa ancor più grave, stanno producendo un vuoto generazionale che sarà difficile recuperare. Oltre ai quasi nove punti di ricchezza nazionale persi dal 2008 a oggi, uno dei più forti registrati nell’intera area OCSE, ciò di cui ci si dovrebbe maggiormente preoccupare è la crescita sprecata lasciando i nostri giovani senza occupazione. Sono loro quelli che più rapidamente utilizzando le nuove tecnologie potrebbero contribuire a far crescere la nostra economia. Loro rappresentano la promessa di cambiare in meglio la società e tenerli fuori dal sistema produttivo e di ricerca significa condannarsi a una condizione di sottosviluppo prolungata. A una disoccupazione giovale che supera il 40%, si aggiunge anche un  basso livello d’occupazione dei giovani laureati, il 26% contro il 72% del Regno Unito, il 76% in Germania e nei Paesi Bassi, l’85% in Finlandia.

Quale il ruolo dell’Università per gli anni a venire e con quali regole governarla?

Intanto, in questi ultimi tre anni, stratificati senza nessuna apparente coerenza si è sfornata una fitta ed incolta mole di provvedimenti ministeriali (regolamenti, circolari, atti di dubbia natura) che hanno fortemente “burocratizzato” e per certi versi mortificato molti aspetti della vita accademica e che hanno messo a dura prova la capacità delle Università di rispondere con prontezza alle opportunità di ricerca e di alta formazione che si stanno predisponendo a livello internazionale. Mentre si sta smantellando il vecchio modello universitario, si ha la sensazione che non si è in grado di proporne uno nuovo. Quale il ruolo dell’Università per gli anni a venire e con quali regole governarla? Processi in linea di principio positivi quali la diffusione dell’istruzione superiore di massa, la proliferazione dei luoghi della formazione, la visione di un’istituzione dove la ricerca risponde anche alle esigenze di poteri esterni in aggiunta agli interessi di conoscenza della comunità scientifica, il continuo affermarsi di spazi decisionali sovrannazionali a svantaggio di quelli nazionali hanno contribuito naturalmente a indebolire il vecchio modello humboldtiano di Università. Può essere che l’idea di un “ente senza confini” sia ormai superata e non sia più proponibile un’Università intesa come comunità di studiosi e studenti che fondano le proprie pretese di autonomia e autogoverno sulla necessità di garantire il sapere e la libertà della scienza e formare le élite di una nazione. La messa in discussione di questo modello ha aperto la strada a un modello aziendalistico, dirigistico, economicistico di Università. Si parla di Università imprenditrice, di Università in competizione con tutte le altre il cui astratto obiettivo sembrerebbe quello di dover “primeggiare in una graduatoria di merito”. Una università piegata su nuove parole d’ordine quali, eccellenza, innovazione, indicatori, accreditamento, sostenibilità, produttività, studenti-clienti, ranking. Si vuole ridurre la cultura a sola merce senza confrontarsi con la differenza tra mercato e cultura? La cultura, la scienza, il sapere, la conoscenza, gli studenti, i professori, non possono essere considerati “oggetti” da sistemare in un mercato al migliore offerente. Si indeboliscono centri di pluralismo critico senza i quali nessuna democrazia è in grado di sostenersi. 

Le Università, luogo di creazione della conoscenza

Le Università devono rimanere luoghi di creazione della conoscenza, e di elaborazione critica del sapere. Il sapere come presupposto indispensabile per la crescita democratica del paese. Senza voler difendere il vecchio sistema, siamo tutti coinvolti e forse un po’ colpevoli, ma il modello distruttivo e sanzionatorio proposto, che pure incorpora elementi positivi come valutazione e innovazione, ai quali non intendiamo sottrarci, ha poco a che vedere con il rinnovo delle Università, ma piuttosto con la volontà di chiuderne un buon numero (naturalmente di quelle statali) con l’errata convinzione, supportata da una ben orchestrata e interessata campagna mediatica, che in Italia ci sono troppe Università e troppi laureati. Sarebbe opportuno, nella fase storica attuale, ridefinire un piano strategico nazionale partecipato che non sia una fragile e ottusa applicazione di sofisticati algoritmi a cui affidare il destino di vita o di morte delle nostre Università. Nell’era post-industriale, dove si richiede un livello d’istruzione sempre più elevato, assicurare un livello medio-alto di formazione a una quota tendenzialmente maggioritaria della popolazione giovanile e formare la minoranza che dovrà ricoprire posizioni di vertice nei diversi settori della società deve continuare ad essere oggi obiettivo primario delle Università.
Nell’intento di rafforzare la cultura del merito ci siamo tutti sottoposti a valutazione da parte dell'ANVUR per la qualità della ricerca. A ogni professore/ricercatore è stato chiesto di selezionare autonomamente le migliori tre pubblicazioni riferite al periodo 2004-2010 da sottoporre a nuova valutazione, a seconda l'area scientifica di appartenenza. Si è trattato di un lavoro immenso che ha coinvolto la totalità dei professori e ricercatori universitari e che vuole introdurre nel sistema meccanismi trasparenti di valutazione e servire da stimolo a tutti per migliorarsi.
All’esito della valutazione gli Atenei con i risultati migliori avrebbero dovuto ricevere maggiori finanziamenti. 

Proposti vanificati

Il taglio del FFO dell'Università per il 2013, pari a quasi 300 milioni di euro (il 4,4% in meno rispetto all’anno precedente), ha sostanzialmente impedito di destinare alcunché a chi si è meglio comportato. Tenendo conto della regola di salva guardia, per altro opportuna in questa fase di costante riduzione di risorse, secondo la quale nessun Ateneo può perdere più del 5%, tutti gli Atenei, compresi quelli con migliore valutazione, come la nostra, hanno ricevuto una riduzione compresa fra il 4% e il 5%. La nostra Università, al netto del fondo del programma straordinario per gli associati, dovrà sopportare un taglio di FFO di circa 4.5 milioni di euro rispetto all’anno precedente. Una competizione beffa sul merito, costosa in termini economici e di ore di lavoro sottratte al personale amministrativo e docente degli Atenei, dove tutti perdono, nessuno vince o, magra consolazione, vince chi ha perso meno degli altri. E’ davvero difficile pensare che siamo in linea con le volontà espresse con la Strategia di Lisbona del 2000, ribadite nella Comunicazione Strategica Europa 2020 che ha posto come obiettivo primario per l’E.U una economia basata sulla conoscenza come fattore di lavoro e coesione sociale. Da un lato si afferma l’importanza primaria della conoscenza quale strumento per conseguire una crescita economica sostenibile, assegnando alle Università un ruolo centrale, proprio perché istituzionalmente incaricate di fornire formazione specializzata e avanzata, di produrre nuova conoscenza con la ricerca scientifica impegnandole a trasferirla a controparti economiche quali imprese, enti pubblici e altri stakeholder e dall’altro non solo non ci si investe ma le si sottraggono costantemente risorse.
A Lisbona era stato varato un nuovo e dettagliato programma di azione per la crescita. Le nuove dimensioni dell’economia e l’importanza della conoscenza per l’innovazione hanno portato il Consiglio Europeo a fissare per l'Unione Europea l’obiettivo di diventare, entro il 2010, l'area "più competitiva e dinamica del mondo”. La prospettiva era sostenere l'occupazione, le riforme economiche e i riequilibri di bilancio, nell’ambito di una "nuova economia” basata sulla conoscenza e sull'investimento in capitale umano. Arrivare a investire il 3% del PIL in innovazione e ricerca e portare almeno il 40% della popolazione compresa tra i 30-34 anni ad aver completato un ciclo di studi superiore erano gli obiettivi da raggiungere entro il 2010. In Italia solo il 21,7% della popolazione compresa tra i 30 e 34 anni ha conseguito una laurea o un titolo equivalente. La media europea si attesta intorno al 36%. In queste condizioni, per l’Italia, questo target è un vero miraggio poiché per l’anno 2020 potremo arrivare a un misero 26/27%. Molto lontano dal resto dell’Europa.
Con un investimento nella ricerca di poco superiore all’1% del PIL l’equivalente a 19.8 miliardi di euro in termini nominali; con la metà degli addetti alla ricerca della Francia e un terzo della Germania in rapporto alla popolazione; con la previsione che il nostro sistema andrà a perdere altri 10,000 addetti entro il 2018 sarà difficile rimanere competitivi ed è facile prevedere che non saremo in grado di recuperare neanche la metà della cifra versata all’Europa. Parlando di graduatorie l’Italia è al 18° posto su 20 paesi OCSE per numero di ricercatori in rapporto agli occupati. Ciò che dovrebbe preoccuparci non è soltanto il lento progresso degli investimenti in termini reali che, esclusa l’Italia, ci sono stati nell’U.E., ma il divario sempre crescente con il resto del mondo. Negli stati Uniti gli investimenti in ricerca e sviluppo sono aumentati del 60%; nei quattro paesi a più alta intensità di conoscenza dell’Asia (Giappone, Corea del Sud, Singapore e Taiwan) del 75%; i paesi del BRIS (Brasile, Russia, India e Sud Africa) del 145%, la Cina dell’885%. Sulla base delle attuali tendenze, la Cina supererà l’U.E. entro la fine del 2014. Appare del tutto evidente che i nostri giovani ricercatori, dopo essersi formati in una logica di competizione scientifica internazionale fuggono all’estero dove trovano salari migliori e fondi per i loro progetti di ricerca, mentre sono da ammirare e considerare quasi eroi quelli che da precari rimangono nel nostro paese sopportando e qualche volta riuscendo a superare enormi difficoltà. Eppure il vento (della ricerca in Italia) soffia ancora. Recentemente l’autorevole rivista scientifica “Nature” ha documentato che l’efficienza della ricerca Italiana, misurata attraverso l’impatto citazionale delle sue pubblicazioni, in campo biomedico e tecnico-scientifico è ottima. Il numero di citazioni per unità di spesa in ricerca e sviluppo è secondo solo a quello del Regno Unito e pari a quello canadese, dunque maggiore di Germania, Francia, Stati Uniti, Giappone etc. Un dato di assoluto rilievo, prevalentemente ottenuto con il sacrificio dei nostri giovani ricercatori, al quale la ciurma dei “cantori interessati” al discredito delle nostre Università non ha dedicato un solo rigo di commento. 

Questioni urgenti

In ogni caso, sono da apprezzare i recenti interventi emanati in materia di Università. L’ innalzamento, nel 2014, del turn-over di personale dal 20% al 50%, la rideterminazione dei requisiti minimi per l’accreditamento dei corsi di studio, l’impegno a recuperare 150 milioni di euro, evitando aggiuntive riduzioni dell’FFO nel 2014, sono timidi segnali di attenzione che non sono sufficienti comunque a liberarsi dalla sensazione di essere lasciati in uno stato di profonda incertezza e abbandono.
Tale sensazione potrà cambiare soltanto se si smetterà di considerare che le risorse destinate alle Università sono una spesa e non, come avviene negli altri Paesi, un investimento fondamentale e strategico.

Bisogna affrontare alcune questioni urgenti: il diritto allo studio degli studenti meritevoli ma privi di mezzi, con lo  spinoso problema degli studenti meritevoli ma non beneficiari; l’introduzione di un meccanismo, (il costo standard per studente) che non scarichi sulle famiglie la riduzione dei finanziamenti alle Università; il riconoscimento meritocratico degli esiti della valutazione della ricerca con fondi aggiuntivi; il modello di finanziamento delle Università; il modello di distribuzione delle risorse di personale (punti organico) con adeguati livelli di garanzia per tutti gli Atenei; la semplificazione di alcune disposizioni normative che rendono difficile la competizione con le Università degli altri paesi europei.
Ma, in primo luogo è necessario, se non arrestare, almeno attenuare l'emorragia di giovani, formati nelle aree a forte innovazione e sviluppo. Un costante impoverimento culturale, economico e sociale che avrà ripercussioni drammatiche sul futuro del nostro Paese e che potrà essere contenuto solo con interventi urgenti e atti concreti. I giovani dottori che abbandonano l’Italia erano l’11,9% nel 2002 sono stati il 27,6% nel 2012, più del doppio in 10 anni. Non possiamo condannarci ad appartenere a un economia che perde giovani qualificati. Si scriva un piano strategico nazionale per giovani ricercatori, cofinanziato dalle Università e dal Ministero, magari con la partecipazione delle regioni, che si rivolga ai potenziali ricercatori con meno di 35 anni e lo si faccia per i prossimi 5 anni e presto potremo avere una Italia diversa da quella descritta, un paese che offre una opportunità ai propri giovani, un paese che sa pensare come costruirsi un futuro.

Come si presenta la d’Annunzio “oggi” !

Nell’anno accademico 2012-2013, dovendoci in maniera prescrittiva adeguare a una miriade di adempimenti ingestibili, è continuato, non senza difficoltà, con talune incomprensioni e qualche resistenza, il complesso e articolato processo di transizione dal vecchio assetto dell’Ateneo a quello definito dal nuovo Statuto elaborato in attuazione della legge “Gelmini”.
Uno degli adempimenti più complessi riguarda la modifica della struttura e della gestione del Bilancio. Stiamo passando da un bilancio finanziario, differenziato tra le varie strutture, ad un bilancio unico e di tipo economico patrimoniale che dovrà garantire maggiore trasparenza e omogeneità ai sistemi e alle procedure, affidando ai dipartimenti una maggiore autonomia e responsabilità didattica e di ricerca. Sappiamo che si tratta di un impresa non semplice a cui siamo chiamati per legge. Ringrazio tutti coloro che sono impegnati in questo necessario e delicato passaggio.

Rimane considerevole (circa 30.000) il numero degli studenti iscritti ai 53 corsi di laurea triennali e magistrali che rappresentano la nostra offerta formativa. Altri 1000 studenti frequentano le nostre scuole di specializzazione di area sanitaria, master, corsi di perfezionamento, di formazione e aggiornamento. Sono più di 400, di cui 8 stranieri, i giovani che frequentano i nostri corsi di dottorato di ricerca. In collegamento con la scuola di dottorato l’attività di ricerca di Ateneo ha nel complesso, come attività di terza missione, prodotto 8 spin off e 26 brevetti (tre di questi saranno presentati nel successivo video). Sono presenti in Ateno 702 unità di personale docente inclusi i 17 ricercatori a tempo determinato, 30 collaboratori ed esperti linguistici, 340 unità di personale tecnico-amministrativo e bibliotecario. Nonostante la diminuzione dell’ FFO (circa 4.5 milioni di euro in meno rispetto al precedente anno e comunque 8 meno negli ultimi sei anni), non abbiamo, per l’esercizio 2014, ridotto i finanziamenti alle attività di ricerca del nostro Ateneo: sono 3 i milioni di euro destinati all’ex 60%; 3.5 alle borse di dottorato, 1,5 milioni di euro (l’equivalente economico di tutti i punti organico provenienti dal turn-over 2012) sono stati destinati ai ricercatori a tempo determinato, 1 milione agli assegni di ricerca. A ciò bisogna aggiungere i fondi previsti per implementare il patrimonio librario e di riviste scientifiche e le risorse economiche per il funzionamento dei nostri laboratori. Uno sforzo enorme a supporto della ricerca e dei nostri giovani ricercatori in particolare, nella convinzione profonda che ciò rappresenta un investimento per il futuro del nostro Ateneo.
Sono questi numeri importanti che consentono alla “d’Annunzio” di essere, oggi, considerata un Ateneo generalista medio/grande e che in questa categoria intende rimanere anche nel prossimo futuro. Per restare tali e mettere in sicurezza il nostro Ateneo dobbiamo tutti con responsabilità collaborare a modificare profondamente, l’attuale assetto organizzativo del nostro Ateneo, avendo a riferimento il 2018 quando terminato il blocco del turnover di personale, e avendo in bilancio almeno 15 milioni di euro in meno rispetto al 2008 la “G. d’Annunzio” avrà presumibilmente un organico ridotto di una ottantina di unità di personale docente e una trentina unità di personale tecnico-amministrativo, l’equivalente di almeno due dipartimenti e 8 corsi di laurea. In questo scenario si rende necessario intensificare il dialogo con gli altri Atenei Abruzzesi allo scopo di identificare forme di stretta collaborazione didattica e di ricerca che da sole in futuro non potranno più essere sostenute (colgo qui l’occasione per inviare alla prof.ssa, Paola Inverardi, da circa tre mesi eletta Rettrice dell’Università degli studi dell’Aquila i più sinceri auguri di buon lavoro) e rafforzare la collaborazione con le altre principali istituzioni amministrative, culturali, imprenditoriali, del nostro territorio, ponendoci come strumento strategico di promozione economica e sociale.

Il recente esercizio di valutazione condotto dall’ANVUR ha confermato che nel nostro Ateneo ci sono alcune aree di ricerca eccellenti e di buon livello mentre per altre sono evidenti i segni di debolezza. Senza concedere a questi risultati uno “pseudo-potere tecnocratico” che potrebbe tentare qualcuno a pensare che dobbiamo favorire un area a discapito di altre è comunque necessario puntualizzare che il nostro compito, all’interno di ciascuna area è di perseguire con decisione obiettivi di miglioramento di auto responsabilità e di sostenibilità economica. 

In conclusione

Nonostante non siano ancora concluse le procedure che dovranno condurre al rinnovo degli accordi regionali e locali tra il Servizio Sanitario e le Università per la formazione medico-specialistica i rapporti istituzionali con le direzioni generali delle AUSL di riferimento di Lanciano-Vasto-Chieti e di Pescara, continuano a svolgersi all’insegna della massima collaborazione e reciproca attenzione. In questo modo abbiamo potuto conciliare, senza drammatiche lacerazioni, le necessità della Regione Abruzzo di dover riorganizzare la propria rete ospedaliera per rientrare dal debito e le ragioni della scuola medica del nostro Ateneo che potrà svolgere, senza subire penalizzazioni ministeriali, le proprie attività formative e di ricerca. Una proficua collaborazione, (e di ciò voglio esprimere il mio ringraziamento ai direttori generali delle nostre due AUSL Francesco Zavattaro e Claudio D’Amario), che ha permesso al personale universitario e ospedaliero di partecipare alla formazione dei giovani e a progetti di ricerca utili al miglioramento dell’assistenza sanitaria del nostro territorio. Un integrazione utile e necessaria in un periodo di forte contrazione delle risorse pubbliche.

Siamo ben consapevoli che stiamo vivendo all’interno di una crisi economico-finanziaria internazionale e che siamo attraversati da una fase incerta della nostra vita pubblica.

Pertanto, sentiamo profondamente la responsabilità di proporre soluzioni, di contribuire al miglioramento della situazione economica e sociale nel contesto del nostro territorio di riferimento, di dare ai giovani un esempio di impegno e una speranza di impiego.

Fiducioso che sapremo, insieme, affrontare con rigore, energia e senza timori questa difficile fase;

Ringraziando tutti quelli che ci hanno consentito di raggiungere importanti traguardi;
Salutando con affetto e gratitudine i colleghi cessati dal servizio per raggiunti limiti di età;

Nel ricordo dei colleghi Andrea Mezzetti, amico fraterno e valente docente e Stefano Bucci, prematuramente sottratti agli affetti dei famigliari, dei colleghi e degli amici, con vera gioia e con orgoglio dichiaro aperto l’anno accademico 2013/2014 dell’Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara.