Prolusione - Luigi Brunetti - Ordinario di Farmacologia

"Le sfide della farmacologia nella pandemia di obesità"
Luigi Brunetti

Magnifico Rettore, Autorità civili e militari, colleghi, personale tecnico e amministrativo, studenti, signore e signori. Ringrazio il mio Rettore, il Senato Accademico, il Dipartimento di Farmacia per avere conferito a me l’onore di rappresentare il corpo docente in questa cerimonia di apertura dell’anno accademico. Ringrazio i miei Maestri: mia madre, mio padre, il prof. Michele Vacca, il prof. Paolo Preziosi; essi sono stati e sono ancora per me guida esemplare e sostegno morale e materiale. È grazie a loro che sono diventato Uomo ancor prima che docente. Ringrazio i miei allievi. Prima fra tutti mia moglie, studentessa di medicina quando io ero agli inizi della mia carriera accademica: con la sua intelligenza ha sempre saputo mantenere in me viva la passione per lo studio. Poi i miei figli, lo specchio magico in cui mi rivedo giovane. Infine i miei studenti, passati (alcuni dei quali oggi miei collaboratori validissimi nel Dipartimento di Farmacia), presenti e futuri: è grazie al loro contagioso entusiasmo che il lunedì all’università è piacevole come il fine settimana in famiglia.

Diffusione dell’obesità

La diffusione globale dell’obesità ha oggi raggiunto dimensioni pandemiche, interessando non solo i paesi industrializzati e a più alto reddito medio pro capite. Dati dell’OMS stimano che vi sono in tutto il mondo oltre 300 milioni di individui obesi e 700 milioni sovrappeso. Negli USA ogni 4 abitanti, 2 sono obesi e 1 sovrappeso. In Italia le percentuali sono poco più favorevoli, con circa il 40% degli italiani sovrappeso e il 15% obeso.

Diverse sono le complicanze dell’obesità e anche del solo sovrappeso: malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, ischemia miocardica, ictus cerebrale), metaboliche (diabete mellito, gotta, dislipidemie, epatopatie), endocrine (alterazioni mestruali, infertilità), polmonari, osteoarticolari. Anche l’incidenza di tumori maligni è aumentata negli obesi ed è aumentata la mortalità da tutte le cause, in particolare nelle donne.

Contrastare l'obesità

Da un punto di vista evoluzionistico, la capacità di accumulare una riserva di energia, sotto forma di grasso, per poterla utilizzare e sopravvivere quando il cibo scarseggia, ha rappresentato un indubbio vantaggio per tutte le specie animali, ancora di più per l’uomo primitivo cacciatore-raccoglitore, sottoposto a ritmi di continua e intensa attività fisica a fronte di un discontinuo e scarso approvvigionamento alimentare. La progressiva civilizzazione, con la scoperta dell’allevamento degli animali e dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa, l’urbanizzazione 2.000 anni fa e l’inarrestabile automazione, a partire dalla macchina a vapore, negli ultimi 250 anni, hanno reso gli alimenti costantemente disponibili e sempre più ricchi di calorie, nel contempo riducendo al minimo il dispendio energetico individuale necessario per procurarli.

Per contrastare l’obesità si raccomanda sempre di limitare l’apporto calorico aumentando nel contempo il consumo energetico, ma questo va in conflitto, in gran parte degli individui, con quanto codificato dai geni “parsimoniosi”, selezionati nel corso di milioni di anni di evoluzione e posti a salvaguardia della specie nell’eventualità di carestie. Sotto la spinta della selezione naturale si sono infatti affermate quelle caratteristiche genetiche che portano ad un’elevata efficienza metabolica degli organismi, ricavando il massimo dell’energia dagli alimenti e accumulando riserve energetiche, in forma di adipe, ogni volta che si presenti la disponibilità di cibo in abbondanza.

Cause dell'obesità

È evidente, quindi, che gli agenti causali della pandemia di obesità sono essenzialmente da ricondurre ad un maggiore introito energetico rispetto a quanto effettivamente consumato. Basti pensare che 20 Kcal in più al giorno (circa un cucchiaino di zucchero) rispetto al necessario portano all’accumulo di circa 800 g di adipe in un anno, ovvero 8 kg in 10 anni. I farmaci antiobesità in qualche modo cercano di bloccare o invertire questo naturale processo di risparmio energetico, selezionato dall’evoluzione perché vantaggioso per gli animali e per l’uomo della giungla, sottoposti alle fatiche e all’incertezza della caccia o del raccolto, ma svantaggioso per l’uomo tecnologico, sedentario e con la dispensa sempre rifornita. I farmaci antiobesità contrastano, quindi, la naturale tendenza all’accumulo di grasso governata dai geni parsimoniosi, o aumentando il dispendio energetico o inducendo una riduzione dell’apporto di calorie.
Apparentemente, i farmaci che aumentano il consumo energetico potrebbero sembrare i più graditi ai pazienti, in quanto senza rinunce alimentari permetterebbero di bruciare i grassi in eccesso. Aumento del consumo energetico potrebbe aversi con farmaci che stimolano l’attività fisica, anche se questo comporta una certa fatica per il paziente. Oppure i farmaci potrebbero ridurre l’efficienza metabolica, generando più calore dalla combustione degli alimenti, piuttosto che incamerando energia di riserva come adipe. Farmaci che agiscono con quest’ultimo meccanismo generano, però, un surriscaldamento dell’organismo e possono creare qualche problema per l’ottimale regolazione della temperatura corporea.

Ridurre l'apporto di calorie

Con questi meccanismi di aumentato consumo energetico agisce, molto blandamente, la caffeina contenuta in tè, caffè, cola, guaranà, sostanze naturali spesso utilizzate come adiuvanti nelle diete dimagranti. L’efficacia della caffeina è di fatto limitata, ma altrettanto minima è la sua tossicità. Una maggiore efficacia nell’aumentare il consumo energetico è caratteristica della fentermina, un farmaco registrato in alcuni paesi per la terapia dell’obesità, ma non Italia, per la sua tossicità riconducibile a quella dell’amfetamina, di cui è un derivato.

La riduzione dell’apporto di calorie rappresenta invece l’approccio farmacologico principale finora sviluppato. L’unico farmaco antiobesità ad oggi disponibile in Italia è orlistat e il suo meccanismo d’azione è inibire la digestione intestinale dei trigliceridi, principali costituenti dei grassi presenti nella dieta. L’assunzione di orlistat assieme ai pasti determina un malassorbimento della componente più calorica dei cibi, i trigliceridi appunto, che vengono così parzialmente eliminati indigeriti con le feci. Orlistat agisce direttamente nel lume intestinale, senza essere assorbito in circolo e per questo la sua tossicità è minima, prevalentemente caratterizzata da disturbi gastrointestinali o ridotto assorbimento di vitamine.
La riduzione dell’apporto di calorie può aversi anche con i farmaci anoressizzanti, composti in grado agire sui meccanismi che controllano il comportamento alimentare, bloccando il senso della fame o inducendo sazietà. L’osservazione che l’amfetamina, accanto alle sue proprietà psicostimolanti presenta effetti anoressizzanti è stata alla base del suo impiego nella terapia farmacologica dell’obesità, dapprima con l’amfetamina come tale e successivamente con suoi derivati come fenilpropanolamina, efedrina, fenfluramina, sibutramina. Sfortunatamente, però, accanto ad una certa efficacia, tutti gli anoressizzanti di tipo amfetaminico hanno dimostrato più o meno rilevanti tossicità psichiche (irritabilità, insonnia, farmacodipendenza) o tossicità cardiovascolari (ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, infarto, ictus, malattie valvolari cardiache), tipiche della classe delle amfetamine, che hanno portato al loro ritiro dal commercio in Italia.

Qual è il futuro dei farmaci antiobesità?

L’osservazione che il trattamento dell’epilessia con due nuovi farmaci anticonvulsivanti, topiramato e zonisamide, si accompagna a riduzione dell’assunzione di cibo e del peso corporeo, ha portato alla recente introduzione, negli USA, del topiramato nella terapia dell’obesità e alla sperimentazione della zonisamide per la stessa indicazione, anche se i meccanismi dell’effetto anoressizzante di questi composti non sono del tutto chiari. Analogamente, sempre in USA, è stata introdotta lorcaserina che agisce con meccanismi in parte simili a derivati dell’amfetamina, ma, apparentemente, senza la loro tossicità. Mancano però studi di sicurezza ed efficacia a lungo termine per questi tre nuovi farmaci e per tali motivi in Italia ed in Europa essi non sono ancora stati approvati.

La ricerca di nuovi anoressizzanti si è anche indirizzata verso quei farmaci che siano in grado di inibire il piacere che deriva dall’assunzione dei cibi, un meccanismo selezionato dall’evoluzione per favorire il consumo di alimenti, ma che in alcuni individui porta ad un comportamento compulsivo di dipendenza da cibo incontrollata, che conduce all’obesità. Da tempo sono studiati i bloccanti degli oppioidi endogeni come il naltrexone o degli endocannabinoidi come il rimonabant, utilizzati con un certo successo anche nella cura di alcune farmacodipendenze. Per qualche tempo il rimonabant è stato anche immesso in commercio in Italia per la sua dimostrata efficacia nella terapia dell’obesità, ma per segnalazioni di tossicità psichica, come ansia, depressione e ideazione suicidaria, esso è stato successivamente ritirato.

La frontiera dei farmaci antiobesità è, però, rappresentata da molecole che in maniera più potente e selettiva interferiscono con i processi fisiologici implicati nel controllo dell’apporto di cibo. Da molto tempo è noto che il cervello, in particolare l’ipotalamo, controlla il comportamento alimentare e il dispendio energetico, ma i farmaci anoressizzanti finora utilizzati hanno presentato un troppo ampio spettro d’azione nel sistema nervoso centrale, con scarsa specificità per i disturbi alimentari e serie tossicità come ansia e depressione. Recenti scoperte attribuiscono al sistema nervoso centrale un ruolo di integrazione di segnali ormonali provenienti dal tessuto adiposo e dal tratto gastrointestinale, rappresentando la base per la realizzazione di nuovi farmaci antiobesità.

Terapie farmacologiche

Il cervello, infatti, controlla la quantità di grasso di riserva presente nel tessuto adiposo anche grazie a molecole-segnale, cioè ormoni, che sono prodotti dalle stesse cellule adipose e che, tramite il sangue, raggiungono il cervello regolando nel lungo termine fame e sazietà, in relazione alla minore o maggiore quantità di grasso accumulato. Il più noto di questi ormoni del tessuto adiposo è la leptina, le cui concentrazioni aumentano in proporzione con la quantità di grasso corporeo, innescando così nel cervello effetti anoressizzanti che limitano l’ulteriore aumento di peso. Nell’obesità si riscontra una disregolazione di tale meccanismo, in rari casi per mancanza della leptina o più spesso per inefficacia della sua azione di segnale anoressizzante. Farmaci che mimano la leptina o che ne potenziano l’azione rappresentano la nuova frontiera nella terapia dell’obesità e sono in avanzata fase di sperimentazione clinica.

Altrettanto interessante è la modulazione farmacologica degli ormoni prodotti dal tratto gastrointestinale, i quali anche segnalano al cervello la quantità e la composizione dei cibi ingeriti, regolando opportunamente, nel breve termine, la ridotta o aumentata ingestione di alimenti in relazione alla presenza o meno di cibo nelle varie porzioni del tubo digerente. Ad esempio, l’azione della ghrelina, un ormone gastrico implicato nella stimolazione dell’appetito, può essere specificamente bloccata da farmaci, gli antagonisti della ghrelina, che rappresentano dei promettenti anoressizzanti attualmente in sperimentazione. Analogamente, farmaci di sintesi realizzati mimando la struttura dell’ormone intestinale GLP-1, quali exenatide e liraglutide, che già sono in commercio per il trattamento del diabete mellito, si sono dimostrati in grado di portare ad una riduzione del peso corporeo e sono in fase di studio clinico per la terapia dell’obesità.
Molti sono, però, ancora gli ostacoli che si frappongono al successo della farmacoterapia nell’obesità. Innanzitutto bisogna considerare che tutti i farmaci finora utilizzati, anche quelli attualmente in sperimentazione, non sono in grado di modificare permanentemente i meccanismi alla base dell’obesità, ma hanno effetto fintanto che vengono somministrati. Poiché una volta sospesi, il paziente tende gradualmente a riacquistare il peso perduto, i farmaci devono necessariamente essere assunti per un periodo indefinito, rendendo difficile l’aderenza del paziente alla terapia. Occorre, inoltre, sottolineare che l’efficacia di tutti i farmaci antiobesità sinora introdotti non supera il 10% di riduzione del peso corporeo (circa 10 kg in un paziente di 100 kg) dopo un trattamento per 1-2 anni, con un recupero del peso perduto nei mesi successivi alla sospensione della terapia.

D’altra parte, lo standard di efficacia e sicurezza a lungo termine nella terapia dell’obesità (con somma insoddisfazione dei farmacologi!) è saldamente fissato dalla chirurgia bariatrica, per ora  riservata ai gravi obesi. Con mirati interventi di resezione o bypass gastrointestinali, si può arrivare a riduzione del peso corporeo fino a 30 kg, mantenimento della riduzione di peso fino a 10-15 anni dopo l’intervento, riduzione delle complicanze dell’obesità (come il diabete mellito) e, soprattutto, riduzione della mortalità da tutte le cause rispetto ai pazienti obesi non operati.

Come può, dunque, la terapia farmacologica eguagliare o superare la terapia chirurgica dell’obesità?

Un approccio tradizionale in clinica per aumentare l’efficacia è l’uso di 2 o più farmaci in associazione. Una strategia questa che è abituale in patologie croniche come il diabete mellito e l’ipertensione arteriosa, che analogamente all’obesità hanno genesi multifattoriale e quindi possono meglio rispondere ad associazioni di farmaci che agiscono con differenti meccanismi. Per alcuni farmaci antiobesità si è osservato un effetto additivo per quanto riguarda l’efficacia, senza pregiudizio per la tollerabilità, anche se l’accettabilità da parte del paziente è tanto più ridotta quanto più numerosi sono i farmaci da assumere. Per superare tale ostacolo negli USA, ma non ancora in Italia, è stata approvata la formulazione di 2 farmaci antiobesità, topiramato e fentermina, in un’unica compressa.
Un problema simile di aderenza alla terapia è presente con le nuove molecole in sperimentazione che agiscono modulando gli ormoni intestinali o del tessuto adiposo, di cui si è detto prima. I farmaci finora realizzati su tali modelli, come la leptina, hanno una struttura molecolare molto complessa per cui sono scarsamente assorbiti per bocca e devono essere necessariamente somministrati per via iniettiva. Questo li rende poco graditi alla maggior parte dei pazienti e studi sono in corso per ottenere dei composti analoghi di più facile assorbimento.
Un aspetto importantissimo riguardante i farmaci antiobesità è che la loro efficacia andrebbe valutata non unicamente come percentuale di peso perduto, ma anche e soprattutto come riduzione delle complicanze dell’obesità e, in definitiva, aumento della sopravvivenza. Valutazioni di questo tipo possono derivare solo da studi condotti per 5-10 anni e nessuna delle sperimentazioni di nuovi farmaci è finora durata abbastanza a lungo da poter fornire una risposta. Non bisogna trascurare l’aspetto della tossicità. Diversi farmaci antiobesità inizialmente introdotti in commercio, quando utilizzati su larga scala, hanno dimostrato effetti indesiderati anche gravi che non erano apparsi negli studi di registrazione, condotti necessariamente su un numero limitato di pazienti e per un tempo troppo breve, portando così al successivo ritiro dal commercio di tali farmaci.

Una della più grandi sfide della moderna farmacologia è la farmacogenetica, lo studio della risposta individuale ai farmaci, in relazione alla diversa costituzione genetica di ciascun individuo. Questo può portare ad una terapia individualizzata per ciascun paziente, con un aumento dell’efficacia e una riduzione della tossicità per tutti i farmaci. Nel campo  dell’obesità, una condizione in cui diverse e ancora quasi del tutto sconosciute sono le basi genetiche con cui essa si instaura, un’ulteriore sfida è rappresentata dalla individuazione dei particolari geni che predispongono ciascun individuo all’eccessivo accumulo di adipe, in maniera da realizzare una terapia mirata al singolo paziente.
Una sfida ancora più importante, non solo per la farmacologia ma per l’intera umanità del terzo millennio, è rappresentata dalla diffusione globale della cultura scientifica, che sappia dare valore unicamente alla medicina basata sulle evidenze piuttosto che a credenze senza fondamento o terapie alternative pseudoscientifiche. Ancora oggi, nell’ambito dell’obesità e non solo, molte sono le panacee che non si basano su alcuna prova scientifica di efficacia, ma che purtroppo danno spazio a false speranze e ad un mercato sempre florido per i ciarlatani, con nessun reale vantaggio per i pazienti.
Molto ancora deve essere scoperto nei meccanismi di controllo del peso corporeo e sicuramente dai farmaci attualmente in sperimentazione e di prossima immissione in commercio possiamo attenderci notevoli benefici nel trattamento dell’obesità e delle sue complicanze. Non va però perso di vista che la terapia ideale è sempre quella che agisce sulla causa della malattia piuttosto che sui meccanismi con cui essa si estrinseca o sui sintomi. Il reale fattore causale nella pandemia di obesità è rappresentato dal progresso tecnologico, che porta sempre più ad aumentare la disponibilità di cibo e a ridurre il dispendio energetico della macchina-uomo. È solo invertendo questo squilibrio metabolico globale con adeguate misure dietetiche e di esercizio fisico che la terapia farmacologica, necessariamente mirata solo ai meccanismi che controllano l’assunzione di cibo e il dispendio energetico, potrà essere pienamente efficace e duratura nel tempo.