Nicola D’Ambrosio - Studenti

Nicola D’Ambrosio

Autorità Civili, Militari, Religiose
Magnifico Rettore,
Corpo Docente,
Personale Tecnico-Amministrativo,
Cari colleghi Studenti,

A voi il mio cordiale saluto.

Con onore e non senza sentire il peso di questo ruolo odierno, sono chiamato a ricoprire uno dei compiti più importanti nel percorso che conduco quale rappresentante all'interno del nostro Ateneo: quello di porgere, a nome di tutta la popolazione studentesca, il nostro saluto al nuovo anno accademico.

Un compito nient’affatto semplice, considerato il numero di studenti che sono a rappresentare, ma un impegno al quale non sento di sottrarmi poiché ritengo che gli studenti debbano avere rappresentata la loro voce nella Università della quale sono, assieme al Magnifico Rettore, al Corpo Docente ed al personale Tecnico-Amministrativo, l’anima e la sostanza stessa.

Il benvenuto che ci accingiamo a porgere, non sembra tuttavia così affettuoso quanto avremmo voluto.

È prassi consolidata affidare a noi studenti l’incarico di elencare, in questa cerimonia, tutto quanto possa esservi di più preoccupante per il futuro dei nostri giovani. Un Iter che ha assunto sempre più le fattezze di una sorta di cabala, volta a scongiurare il fatto che quanto si dica, poi accada sul serio.

Voglio oggi distaccarmi da questa consuetudine, tentando di utilizzare il meno possibile parole come “drammatico” o “spending review”.

Non voglio però assolutamente tirarmi indietro rispetto ad una tradizione scaramantica ormai consolidata.

Il trimestre appena conclusosi ci lascia in eredità uno scenario socio-politico non certo semplice.

Le intestine lotte di potere nell’attuale legislatura di Governo, sono state certificate da uno scontro referendario che ha portato il Premier Matteo Renzi, a dimettersi senza possibilità di poter tornare, almeno prima delle elezioni, alla guida del Paese.

Un democratico, per certi versi, colpo di spugna, che ha giustamente pagato anche l’ormai ex Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, committente ed esecutrice di una tra le peggiori terapie palliative somministrate al mondo dell’Istruzione. Fautrice tra le altre, della sciagurata “Buona Scuola”, riforma mai entrata a pieno regime, che di buono lascia, purtroppo, solo il nome. Del suo operato ricorderemo certamente le insensate riforme per l’ingresso ai CdL a numero programmato, con tre modalità d’ingresso differenti negli ultimi quattro anni: una manovra al tempo volta a ritrovare quei consensi all’interno del mondo giovanile che forse il Ministro Giannini non ha mai avuto.

Orgogliosa ereditiera della poltrona l’On. Valeria Fedeli. Le indubbie qualità curriculari accumulate negli anni, sicuramente più vicine al mondo dei sindacati che a quello dell’istruzione, le consentono di rivestire un ruolo di tutto rispetto: mantenere in caldo la poltrona di Via Trastevere sino alla prossima legislatura.

Proprio le ultime disposizioni del neo-Ministro ci lasciano con un sorriso amaro: è stato firmato nei giorni scorsi un decreto attuativo che rende necessario il titolo di laurea anche per l’accesso all’insegnamento negli asili nido, requisito tuttavia superfluo per assurgere alla carica di Ministro dell’Istruzione.

Un “cambiare tutto per non cambiare niente”, di gattopardiana memoria, o per meglio dire: un “cambiare tutto per cambiare in peggio”.

Uno scenario politico e sociale complicato, senza voler essere troppo pungenti, che probabilmente l’Italia non aveva mai visto prima.

In un immobilismo del genere, ciò che continua però a muoversi sono i nostri ranking nelle classifiche mondiali per quanto riguarda la formazione e l’occupazione dei nostri giovani.

I dati analizzati dall’Ocse nel rapporto 2016 relativi all’istruzione recitano per il nostro Paese:

- una disoccupazione giovanile ormai al 44% (picco più alto raggiunto dal 1977);
- una spesa pubblica per l’istruzione scesa del 14% in 5 anni che ci colloca di fatto al penultimo posto per investimenti sull’istruzione, persino dopo l'Ungheria;
- un tasso di laureati nella fascia dai 25 ai 34 anni tra i più bassi d’Europa (22,4 %) causato non tanto dai drastici cali delle immatricolazioni (per la prima volta in rialzo dopo 5 anni) quanto da un rapporto iscritti/laureati pari al 58 %, contro una media Ocse del 70 %;
- vantiamo infine il record di insegnanti over 50 (con salari in calo) e di Neet, cioè di ragazzi che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi formativi.

A queste analisi appena elencate, il Ministro uscente sembrava esser decisamente insensibile; le voci del Fondo di Finanziamento Ordinario recitano, nell’ultimo biennio: 30 milioni in meno per il 2014 e ben 45 milioni in meno a partire dal 2015.

I grandi proclami del Governo Renzi che millantava l’istruzione come uno dei settori con le maggiori priorità d’intervento, non sono stati altro che fumo, negli occhi di chi era stato mandato in overdose da speranza.

A pagarne il dazio sono gli studenti ed anche il personale che, quotidianamente, nelle nostre Università, lotta per offrire didattica e servizi di qualità, facendo nel contempo ricerca.

Eppure già due anni fa, un rapporto commissionato dalla “Global Education Solutions”,ci ammoniva così:

“l'Italia potrebbe ottenere risultati ai livelli della Finlandia (1°), se riducesse il rapporto insegnante-allievo da 10,8 a 8,2 alunni per ogni insegnante (-24,4%). O, in alternativa, se potenziasse gli investimenti nell’insegnamento del 10,5%”.

Risulta evidente il disinteresse più totale dei recenti Consigli dei Ministri nei confronti dell’istruzione, che vede nella formazione della propria gioventù esclusivamente capitoli di spesa da tagliare per rientrare in folli parametri di bilancio.

La Regione Abruzzo, dal canto suo, sembra allinearsi serenamente al leitmotiv nazionale.

Ricordo bene le parole pronunciate dal nostro Rettore circa un anno fa, nella stessa cerimonia di oggi: “Questo Ateneo è il frutto di uno slancio d’amore; quello comune della gente d’Abruzzo, nobilitato da autentico sacrificio e tradotto in azione realizzatrice dai suoi uomini rappresentativi; slancio sorretto da una fierezza radicata in una autentica civiltà, mai dimenticata o smentita, alla quale è di omaggio l’atto di fiducia dei docenti qui convenuti da varie Università Italiane, con il convincimento di chi sa di essere chiamato a seminare nei solchi di un terreno sicuramente fecondo”

Ho custodito con fierezza questo passo, immedesimandomici e divenendo orgoglioso anche io, seppur cittadino acquisito, di appartenere a questa terra.

Parole che evidentemente hanno scaldato i cuori solo di noi giovani, restando niente più che frasi di circostanza per le amministrazioni regionali.

Come evidenziato nelle settimane scorse da alcune testate locali, il bilancio regionale, fresco di approvazione, recita:

-meno 13,6 milioni per istruzione e diritto allo studio,
-circa 7 milioni in meno alle politiche giovanili
-meno 13,4 milioni agli investimenti per i diritti sociali.

A tutto ciò si aggiungono politiche sociali non certo virtuose offerte agli studenti locali. Se si pensa ad esempio che il trasporto gratuito è garantito, previo gara di merito, agli studenti con ISEE non superiore a 15.000 €, e che la vicina Regione Campania lo concede di diritto con ISEE entro i 35.000 € (più del doppio delle nostre soglie) appare lampante il nostro ritardo nell’offerta di servizi basilari agli studenti.

Nessuna manovra cautelativa è stata prevista per far fronte alle disastrose modifiche per il calcolo degli importi ISEE. Regioni come Toscana e Lazio, a seguito delle nuove modalità di calcolo, già un anno fa si mobilitarono andando ad integrare i fondi stanziati dal MIUR. Tutto ciò in Abruzzo non è mai accaduto.

Discorso analogo per le Borse di specializzazione di Medicina e Chirurgia: restiamo il fanalino di coda anche nell’integrazione delle borse post-lauream.

I fastosi proclami di un “Abruzzo Veloce” ostentati durante la campagna elettorale ci lasciano a mani vuote. A distanza di ormai circa quasi tre anni dall’insediamento del Governo Regionale, quest’ Abruzzo, non solo non sembra veloce, ma pare che stenti purtroppo, anche solo a partire.

Quali sono dunque gli scenari che la Regione Abruzzo vuole far intravedere ai figli, naturali o adottati, della sua terra?

Mi piace ricordate a tal proposito, una frase contenuta all’interno della dichiarazione d’indipendenza americana, che recita: “Se c’è qualcosa che non va, se vi sono disagi, abusi o problemi nei confronti degli altri, chi ha la capacità di agire ha anche la responsabilità di farlo”.

Questo non possiamo permetterci di dimenticarlo, mai.

Occorre a questo punto un decisivo colpo di reni. Le timide iniziative delle amministrazioni locali, seppur apprezzabili, non sono sufficienti. Serve affiancare agli embrionali piani di riqualificazione dei Comuni di Chieti e Pescara, iniziative che possano dare quel definitivo slancio. Mi riferisco alla imminente apertura della casa dello studente a Pescara, alla sistemazione della Caserma Bucciante, che verrà, si spera a breve, destinata ad utilizzo universitario, ad un sistema di collegamento finalmente efficiente tra il Colle e lo Scalo.

Ritornare ad investimenti concreti sull’Università, supportandola laddove la stessa non riesca da sola. Sono ormai anni che gli studenti segnalano, nella più totale indifferenza, i disagi e le criticità strutturali delle Sedi di Chieti e Pescara. Urgono interventi d’urgenza per mettere finalmente al sicuro i due Poli. Non è più ammissibile un’indifferenza tale da parte delle amministrazioni relativamente ai copiosi allagamenti e talvolta ai piccoli crolli che continuano ad interessare i plessi, sia su Chieti che su Pescara. Gli sforzi fatti sinora non sono sufficienti. All’ Università, ma anche alle amministrazioni, chiedo, oggi di attivarsi concretamente per offrire delle soluzioni finalmente funzionali per questi disservizi.

Gli studenti sono il motore economico delle città universitarie, e quindi di Chieti e Pescara. Sottovalutare la loro importanza per il territorio è un errore da non commettere. Occorre potenziare i servizi a loro disposizione, prevedere l’apertura di biblioteche comunali anche allo Scalo, incentivare la mobilità degli stessi tra le due città, promuovere attività culturali e sociali che possano includere anche gli studenti in un contesto cittadino che spesso sembrerebbe giudicarli “di troppo”.

Non posso non sensibilizzare le amministrazioni comunali e regionali ad investire risorse e impegno a favore della corposa comunità universitaria che domicilia l’area di Chieti-Pescara, anche e soprattutto al fine di attrarne altra ancora.

Infine, come studente e come rappresentante degli Studenti, un alto senso di responsabilità mi impone il dovere di invitare l’amministrazione universitaria, il corpo docente, il personale tecnico-amministrativo, al fermo impegno nel ritrovare lo spirito di collaborazione.

Le diatribe interne che da mesi agitano i corridoi del nostro Ateneo, continuano a ripercuotersi sull’anello più debole della catena: noi studenti.

È necessario che gli universitari, le Istituzioni e le nostre comunità riacquistino fiducia nel mondo accademico. Un impegno che tutte le parti chiamate in causa debbono far proprio per rendere onore a quel senso di ripresa, di riscatto, di rinnovamento comune a noi tutti. Chi ha la capacità di agire ha anche la responsabilità di farlo.

Accantoniamo i personalismi e le strumentalizzazioni, anche interni al nostro Ateneo, per inseguire quel fine che dovrebbe essere fondamento di una Istituzione universitaria: erigersi a custode del patrimonio educativo e morale di un Paese.

Nell’avviarmi al termine del mio discorso, un messaggio sento di lanciarlo ai miei colleghi studenti.
Lo faccio ricordando un anniversario importante ricorso ieri, quello dei funerali di Jan Palach, studente universitario cecoslovacco che in un gesto estremo di protesta contro l’occupazione del suo Paese si cosparse di benzina, dandosi fuoco in pubblica piazza.

Il gesto di Palach, figlio di quegli anni intrisi di resistenza ai regimi, rimane oggi un monito per quei giovani che credono ancora nella difesa di alcuni ideali.

Scrisse di lui il giornalista Marcello Veneziani: “fu l’esempio più bruciante della rivolta contro il totalitarismo e l’oppressione dei popoli, il simbolo vivente – e morente – dell’amore di libertà fuso insieme all’amor patrio […] La sua disperata speranza ebbe un effetto dirompente nei Paesi oltre la Cortina di ferro, ma anche in una fetta d’Europa. Per la prima volta 600mila persone si dettero appuntamento a Praga per rendere omaggio a quel ragazzo. Ci andarono anche molti giovani dall’Italia. Gente che arrivava persino a piedi perché nei treni e nei mezzi pubblici i militari sovietici e i poliziotti li avrebbero bloccati. […]
Prima di uccidersi, Palach aveva scritto su un quaderno scolastico a righe: <<Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprime la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è composto di volontari, pronti a bruciarsi per la causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero uno, è mio diritto scrivere la prima lettera…>>. Firmato: la torcia n. 1”

Il monito di un universitario di vent’anni, sacrificatosi per difendere ciò in cui credeva, è il messaggio che più di tutti vorrei trasmettere ai miei colleghi. La voglia di credere e di difendere con le unghie e con i denti i propri valori, le proprie tradizioni. Jan lo fece facendo ardere se stesso, a noi il compito di continuare a tenere accesa questa fiamma che da cinquant’anni illumina un cammino.

Buon anno accademico.