Relazione del Rettore - Carmine Di Ilio

La parola al Rettore
Carmine Di Ilio

Autorità Civili, Religiose e Militari, Magnifici Rettori, Colleghe, Colleghi, Ricercatori, Tecnici e Amministrativi, cari Assegnisti, Borsisti, Dottorandi, care Studentesse, cari Studenti, Signore, Signori, graditissimi ospiti, a tutti voi che a vario titolo svolgete attività lavorativa nel nostro Ateneo il più sincero ringraziamento per la partecipazione a questa cerimonia inaugurale che si tiene a pochi mesi dalla mia immissione nel ruolo di Rettore dell’Università “G. d’Annunzio” e che testimonia la vostra attenzione alla nostra Istituzione. 

Primo mandato elettorale

Sarà per me un anno accademico particolarmente impegnativo quello che ci apprestiamo ad iniziare, non soltanto perché è il primo del mio mandato rettorale, che terminerà a Settembre 2017, ma soprattutto perché è il primo anno in cui troverà piena attuazione il nostro nuovo statuto, entrando nel vivo del processo di decisivo e radicale cambiamento dell’assetto istituzionale/organizzativo e del modello di governo cui dobbiamo sottoporre il nostro Ateneo, conseguenza della necessaria applicazione della legge di riforma 240/2010 (meglio conosciuta come Legge Gelmini).
Una riforma complessa, controversa e con molte criticità che andranno adeguatamente corrette nei prossimi anni. Una riforma calata sulla testa dell’Università senza un adeguato, attivo coinvolgimento da parte di chi nell’Università e nella ricerca lavora e soprattutto senza la minima considerazione di chi vi dovrà lavorare negli anni a seguire.

Quello che andiamo ad inaugurare è anche l’anno in cui le crescenti limitazioni dei finanziamenti pubblici e le disposizioni ministeriali in materia di turnover di personale, avranno un impatto dirompente sulla vita degli Atenei.
Dunque, l’impegno iniziale del mandato rettorale e l’attuazione del processo di riforma s’inseriscono in un quadro di progressiva riduzione del finanziamento del sistema formativo e di ricerca universitario, di sostanziale chiusura nei riguardi dei giovani ricercatori e di ulteriori forti limitazioni agli interventi in materia di diritto allo studio.
Per converso, sono numerosi gli incombenti derivanti dalla riforma e da una continua e pressante emanazione di disposizioni e adempimenti che hanno un impatto decisivo sul futuro delle nostre Università e che richiedono una continua e sfiancante modifica nella organizzazione della gestione interna degli Atenei.
Basti pensare:

  • al nuovo sistema di reclutamento del personale docente, basato su una procedura di abilitazione nazionale e di concorso locale (si sono concluse da pochi giorni le operazioni di sorteggio dei commissari);
  • all’ introduzione del ruolo di ricercatore a tempo determinato, con possibilità di tenure trak, in sostituzione dell’analoga figura a tempo indeterminato, ruolo che è stato messo ad esaurimento, non valutando con sufficiente attenzione le conseguenze sul sistema di ricerca universitaria;
  • alla procedura di autovalutazione dei corsi di laurea, dei corsi di laurea magistrale e dei dottorati di ricerca;
  • alla abolizione delle Facoltà, per tanti anni modello gestionale accademico che ha proficuamente disciplinato i percorsi formativi di generazioni di studenti, e le cui ricadute sul sistema sono ancora da valutare. Aspetto, quest’ultimo, tra i più discutibili della legge di riforma.

Colgo l’occasione per esprimere un esplicito ringraziamento ai presidi delle vecchie Facoltà, che con il supporto di molti colleghi hanno dovuto gestire una difficile transizione, al cui completamento continuano con generosità a collaborare.

Resta viva la preoccupazione per i pesanti tagli finanziari

Il fondo di funzionamento ordinario degli Atenei che dall’anno 2009 all’anno 2012 è stato ridotto di circa 900 milioni di euro, subirà nel 2013 una ulteriore decurtazione del 4.3%, ossia di altri 300 milioni di euro. Quest’ultima riduzione, una stangata dagli effetti letali come si legge in un appello congiunto della Conferenza dei Rettori, del Consiglio Universitario Nazionale e del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari. Una riduzione di finanziamenti di circa il 13% nel volgere di un quadriennio. Una vera e propria sciagura difficilmente sostenibile per il sistema formativo e di ricerca universitario, già duramente colpito da provvedimenti restrittivi, da tagli sulle borse post lauream (dottorato), sulle borse di studio, sui fondi per la ricerca, quelli per l’internazionalizzazione e per l’acquisizione di attrezzature didattiche e di ricerca. Queste crescenti limitazioni di finanziamenti pubblici, se non corrette, metteranno in seria difficoltà il funzionamento di molti Atenei, ridimensionando la formazione, la ricerca, i servizi agli studenti, e più in generale lo sviluppo tecnologico e culturale del nostro paese. Vi sono molte Università che non saranno in grado di mantenere al di sotto dell’80%, il rapporto limite stabilito per decreto, tra spese per il personale e le entrate, e che quindi si potrebbero trovare nella necessità di dover attivare le procedure (previste dal DL. del 27 Ottobre 2011) che disciplinano il dissesto finanziario delle Università (La nostra non è tra queste).

Con una ben orchestrata e martellante propaganda, che per anni ha denunciato costi inusitati, irrilevanza scientifica e inutilità sociale, si é deliberatamente messa in discussione la capacità delle Università statali di saper svolgere il ruolo istituzionale che le compete nella ricerca scientifica, nell’alta formazione al servizio dello sviluppo del Paese, fornendo in tal modo un alibi mediatico alla volontà di ridurre i finanziamenti. Conseguentemente, nel corso di questi ultimi anni abbiamo assistito alla emanazione di una serie di interventi normativi che, oltre a ridurre i finanziamenti, hanno reso alquanto complicato ed incerto il ricambio e la programmazione del personale docente e tecnico amministrativo. Un turnover al 20% nell’arco temporale 2012-2015 impedisce, di fatto, un ricambio generazionale in assenza del quale assisteremo inesorabilmente al progressivo disfacimento del nostro sistema formativo e di ricerca.

Ad oggi, vi sono circa 10.000 unità di personale in meno nelle nostre Università rispetto a soli quattro anni fa. A nessun altra istituzione pubblica viene riservato un simile trattamento. Vorremmo che i tagli fossero effettuati a chi, non solo si è sistematicamente sottratto a qualunque criterio di valutazione, ma ha usato le risorse statali in maniera poco trasparente.

Ad onore del vero, nel recente passato vi è stato in alcuni settori accademici un comportamento non sempre responsabile che ha portato ad un incremento spropositato del numero dei corsi di studio, ad una eccessiva espansione delle sedi decentrate, a reclutamenti discutibili e qualche volta eticamente non condivisibili. Questi comportamenti non hanno coinvolto il nostro Ateneo, anzi, è stato premiato il lavoro svolto se si considera che una quota consistente del nostro fondo di funzionamento ordinario (circa il 13%) è stato ottenuto su base premiale didattico-scientifica. Sulla base del turnover 2012-2015, escludendo dal conteggio le risorse previste dal piano straordinario associati, che cercheremo di usare al meglio sia negli interessi dei nostri ricercatori sia per reclutare dall’esterno figure scientificamente qualificate e per colmare deficit didattici sui nostri corsi, avremo a disposizione della nostra amministrazione circa 12 punti organico, assolutamente insufficienti per operare le necessarie assunzioni di giovani e per concedere i legittimi avanzamenti di carriera al nostro personale docente e tecnico-amministrativo. Tali disposizioni, unitamente al sotto-finanziamento degli Atenei, di fatto, restringono ulteriormente i già ridottissimi spazi di autonomia necessari per la programmazione ed il reclutamento del personale. Un cattivo segnale, questo, per le aspettative di molti colleghi e soprattutto per le speranze di migliaia di giovani studiosi, capaci e meritevoli che da anni attendono di inserirsi nei ruoli dell’Università. L’effetto più grave di questa stretta finanziaria si abbatte proprio sul capitale umano.

Il blocco del turnover di personale comporta la rinuncia ad assumere più di una generazione di valenti giovani studiosi. Dopo aver percorso con grandi sacrifici tutte le tappe di un lungo e faticoso precariato universitario (8-12 anni di lavoro e formazione) attraverso il conseguimento del dottorato di ricerca, l’assegno di ricerca, la borsa di studio, stage formativi in prestigiose istituzioni di ricerca nazionali e internazionali, ai giovani e valorosi studiosi viene offerto il nulla o quasi o comunque altro precariato. Formati in una logica di competitività internazionale i nostri giovani ricercatori fuggono all’ estero dove trovano salari adeguati e supporto economico ai loro progetti di ricerca.
Senza possibilità di ricambio, il patrimonio di conoscenze si depaupera, le energie intellettuali per la ricerca scemano, i corsi di studio si chiudono, le Università avviliscono senza poter svolgere le proprie missioni educative, formative e scientifiche.

Si rafforza, così, in noi la spiacevole sensazione che le questioni dell’Università e della Ricerca non siano al centro dell’agenda politica dei nostri governanti, i quali comunque non vanno molto oltre un proclamare fatto di retorica, ancor più alla vigilia delle prossime elezioni.

Si captano segnali che destano molta preoccupazione

Non si vogliono affrontare in modo rigoroso le complesse problematiche di un comparto che è universalmente ritenuto decisivo per il rilancio e lo sviluppo del proprio paese. Il solo messaggio chiaro che ci viene trasmesso è quello di una sistematica riduzione delle risorse economiche e comunque di una avversione generalizzata, spesso preconcetta, e che talvolta sfocia nel disprezzo, scaricando sulle giovani generazioni tutte le difficoltà e le contraddizioni del sistema. Abbiamo la forte percezione che non si tratti semplicemente di scarsa considerazione nei confronti dell’Università, ma di un preciso e cinico disegno, iniziato tra il 2007/2008, di cancellazione o quantomeno di drastico ridimensionamento del sistema statale delle Università. Non si vuole riconoscere ad essa il valore strategico che ha, non solo per la cultura ma anche per l’economia del nostro paese, proprio all’inizio di questo XXI secolo, definito il secolo della conoscenza.

Questo è il secolo in cui la popolazione in età da lavoro, quella per intenderci compresa tra i 25 e 67 anni forse i 70 fra pochi anni, sarà, ed in parte già lo è, formata da persone che hanno alle spalle un curriculum scolastico-formativo di 20/25 anni (oltre la laurea avranno acquisito anche un dottorato o un master post-laurea). Per il nostro paese si prospetta un confronto impietoso. Nei Paesi OCSE il 40% della popolazione giovanile, tra i 25-34 anni ha almeno una laurea. La percentuale sale e supera il 55% in grandi paesi alquanto diversi tra loro come Canadà, Russia e Giappone. Si attesta intorno al 63% nella Corea del Sud. L’Italia ha un misero 20% in quella fascia di età, percentuale destinata a scendere considerando che negli ultimi anni le iscrizioni sono diminuite e continueranno a diminuire poiché molte Università pubbliche correranno il rischio di chiudere o quantomeno ridimensionarsi.

Peraltro, è triplicato il numero di giovani laureati che nell’ultimo anno hanno lasciato l’Italia per cercare un posto di lavoro all’estero. Siamo già fuori dall’Europa. Corriamo il rischio di essere fuori dall’economia che conta e sarà difficile salvarsi dal declino se nei prossimi anni la gran parte dei paesi sviluppati sarà formata da una popolazione in età da lavoro composta per oltre il 50% da persone che hanno 20/25 anni di solida formazione, mentre noi potremo contare su una popolazione che per più dell’80 per cento ha alle spalle solo 15 anni di studio. Se non incentiviamo la domanda di formazione, non potrà aumentare la nostra capacità tecnologica, perderemo posizioni nella divisione internazionale del lavoro e ci si avvierà ad un declino economico e civile. Non si può rinunciare ad una rete di Università statali, adeguatamente finanziate anche attraverso un trasparente sistema di valutazione, e tendenzialmente aperta a tutti.

Non corrisponde al vero affermare che in Italia il numero delle Università è elevato, che la spesa per mantenerle è eccessiva e che pertanto bisogna ridurne il numero per risparmiare. Bastano pochi dati per dimostrarlo. In Italia vi sono 1,6 Università per milione di abitanti, dato molto simile alla Spagna (1,7). Nel Regno Unito il rapporto Università per milione di abitanti sale a 2.3, nei paesi bassi a 3.4, in Germania a 3.9, in Francia a 8.4, negli stati Uniti a 14.5. Per spesa universitaria in termini di % di prodotto interno lordo l’Italia si pone al 32° posto su 37 nazioni. Paesi come Cile, Canadà, Finlandia, Nuova Zelanda, Estonia spendono molto di più del nostro paese, che comunque, da quando è iniziata la crisi è quello che, in percentuale, ha ridotto di più la spesa per la formazione terziaria.

Una crisi che si abbatte duramente sugli studenti che sono in attesa di un adeguato finanziamento del diritto allo studio poiché le cifre stanziate, che sono state dimezzate rispetto al fondo dell’anno precedente, non sono sufficienti a coprire sia i diritti dei meritevoli e dei capaci, sia un efficiente sistema di accoglienza assolutamente deficitari nel nostro paese molto al di sotto degli standard europei. Siamo al 16° posto su 19 nazioni come per cento di studenti che ricevono sussidi, ma comunque al 3° su 19 per tasse pagate, con un rapporto numero di studenti/docente che è uno dei peggiori, essendo l’Italia al 27° posto su 32 nazioni. Gli studenti dunque hanno il torto di essere meritevoli senza essere ricchi. La figura dello studente idoneo ma non beneficiario è una invenzione tutta Italiana.

Ma, nonostante questi dati, le Università italiane vengono indotte a compensare con sconsiderati aumenti delle tasse i minori stanziamenti pubblici. La soluzione che ci viene suggerita è quella di aumentare le tasse universitarie, e spingere gli studenti ad indebitarsi con i cosiddetti prestiti d’onore.

Ci chiediamo: è mai possibile che non ci sia un idea migliore per l’Università, che scaricare il costo sulle famiglie facendole indebitare? E’ la testimonianza della superficialità con la quale si pensa di poter risolvere il problema del sottofinanziamento delle Università.

Si impone, dunque, una seria riflessione in materia, ed è necessario arrivare al più presto ad una proposta che non introduca nel sistema forme di tassazione differenziata per categorie di studenti, ma che affronti la vera questione e cioè la definizione dello “speso standard”, che può anche essere differente nei diversi contesti regionali, sul quale basarsi per la distribuzione del fondo di funzionamento ordinario. Conseguentemente, stabilire una volta per tutte quanto di questo costo è a carico dello stato (ossia della fiscalità generale) e quanto sia carico delle rispettive famiglie. Definito ciò, sarà compito delle singole Università proporre ed attuare una responsabile e competitiva politica in materia di contribuzione studentesca.

Nonostante gli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo e il basso numero di ricercatori sul totale degli occupati, l’Italia è 18° sulle prime venti nazioni, la produttività scientifica italiana, secondo l’International Comparative Performance of the UK Research Base” è superiore a quella di Germania, Francia e Giappone. Dati Scopus affermano che l’Italia è al 7° posto per citazioni scientifiche e all’8° per numero di articoli. Dati che testimoniano, l’infondatezza delle critiche sulla capacità scientifica e che confermano che vi sono aree di eccellenza che necessitano di essere salvaguardate. Aree importanti nelle quali politiche attente dovrebbero investire.

Come si presenta la d’Annunzio "oggi"!

La nostra Università oggi è una pubblica istituzione che sta proseguendo responsabilmente il percorso di attuazione del nuovo statuto avendo, ai sensi della legge “Gelmini”, completato da poco la costituzione,successivamente alla presa di servizio del Rettore, dei nuovi organismi che compongono la catena dei processi decisionali cioè: Il Senato Accademico, il Consiglio di Amministrazione, il Nucleo di Valutazione, la Consulta degli Studenti ed assegnato alcune deleghe su tematiche di grande rilevanza per le funzionalità del nostro Ateneo (orientamento e disabilità studenti; sistema qualità ricerca e didattica; sistema bibliotecario; patrimonio edilizio; revisione dello statuto e redazione dei regolamenti;).

Sono stati avviati una serie di interventi per il riassetto della macchina burocratica-amministrativa per renderla più moderna ed adeguata alle nuove esigenze; inoltre abbiamo iniziato la stesura dei regolamenti di Ateneo atti a garantire uno sviluppo ordinato della vita della comunità accademica.

Siamo al servizio di circa 30.000 studenti dei corsi di laurea triennali e magistrali, e di circa altri 1000 iscritti alle scuole di specializzazione di area sanitaria, master, corsi di perfezionamento, corsi di formazione, aggiornamento e riconversione creditizia. La scuola di dottorato è frequentata da quasi 450 giovani laureati, (il 5% sono stranieri provenienti sia da paesi europei sia extraeuropei) che hanno anche la possibilità, attraverso una serie di accordi bilaterali sottoscritti con partner europei, di acquisire il titolo di “Doctor Europeus”.
L’attività di ricerca di questi giovani studiosi ha promosso lo sviluppo di 27 brevetti e 5 spin off attivi.
La capacità scientifica del nostro Ateneo è di buon livello, come testimoniato dalla consistenza della quota premiale ministeriale (13% dell’FFO) e dal numero di programmi di ricerca di molti nostri colleghi e giovani ricercatori che sono stati recentemente finanziati (per circa 7 milioni di euro) sia con fondi ministeriali e della comunità europea sia da associazioni private.

Da noi svolgono la loro attività istituzionale complessivamente 728 docenti appartenenti alle tre fasce ancora vigenti, 30 collaboratori ed esperti linguistici, 355 unità di personale tecnico- amministrativo e bibliotecario. L’offerta formativa si articola in 51 corsi di studio che si organizzano a loro volta all’ interno di quattordici dipartimenti, alcuni dei quali si avviano a dar vita, per assicurare un armonico coordinamento delle procedure decisionali per le coperture didattiche dei docenti e per sostenere le strutture di supporto alla didattica, alla formazione della “Scuola”.

Numeri importanti per un Ateneo medio/grande come il nostro e che in questa categoria intende rimanere anche nel prossimo futuro. Per questo, siamo convinti che è necessario rafforzare la collaborazione tra la nostra Università e le altre principali istituzioni amministrative, culturali, imprenditoriali, ponendoci come strumento strategico per la promozione economica e sociale del nostro territorio.

In questo contesto è risultata proficua la collaborazione con la Regione Abruzzo che, nell’ambito del progetto speciale multiasse “Reti per l’alta formazione”, ci ha permesso di usufruire di un finanziamento Europeo di circa 3.2 milioni di euro che sono stati destinati alla formazione dei nostri giovani laureati attraverso il finanziamento di borse di dottorato, assegni di ricerca e alla realizzazione di master in aree di ricerca strategico-innovative.

L’augurio per tutti noi è che questa collaborazione possa continuare anche per il futuro e che non rimanga un fatto episodico.
Inoltre, registriamo con soddisfazione che si sono avviate le procedure che in breve tempo dovranno condurre al rinnovo del vecchio ed obsoleto protocollo d’intesa (l’attuale risale al 1996) tra Regione ed Università necessario per poter svolgere le attività formative, assistenziali e di ricerca proprie della scuola medica. Sono convinto che troveremo con i direttori generali delle AUSL di Lanciano-Vasto-Chieti e Pescara, (Prof. Francesco Zavattaro e Claudio D’Amario) la giusta intesa per la sottoscrizione di un moderno ad agile protocollo attuativo. Un percorso di integrazione che si rende ancor più necessario in un periodo di forte contrazione delle risorse pubbliche e di applicazione delle recenti disposizioni ministeriali in materia di organizzazione sanitaria.

Con l’obbiettivo di dar vita a iniziative didattiche e di ricerca che da sole non possono essere realizzate, siamo disponibili ad identificare forme di stretta collaborazione con gli altri Atenei Abruzzesi, al fine di rendere più competitivo il sistema universitario regionale (colgo l’occasione per esprimere al prof. Luciano D’Amico, eletto Rettore dell’Università degli studi di Teramo da circa 10 giorni i più sinceri auguri di buon lavoro).

Siamo ben consapevoli che stiamo vivendo all’interno di una crisi economico-finanziaria internazionale e di una incerta fase della nostra vita pubblica. Ma un’istituzione come la nostra, che ha per finalità la conoscenza e la formazione, non può e non vuole rifugiarsi nell’auto commiserazione. Vogliamo mostrare tutte le nostre capacità organizzative e programmatiche, e dare la prova, con orgoglio, dei risultati cui è pervenuta.

Nonostante la sua breve storia, l’Università “G. d’Annunzio” è una realtà forte, ben strutturata e consolidata. Sono trascorsi poco più di 47 anni da quando con D.P.R. n. 1007 dell’ 8 maggio 1965 è nata, dalla volontà e dai sacrifici della nostra comunità, la libera Università “G. d’Annunzio” e sono trascorsi 30 anni dalla data di statizzazione avvenuta con la Legge 590 del 14 agosto 1982.

Non posso esimermi, in questo consesso, di rendere merito e ringraziare tutti i Rettori che mi hanno preceduto e che con passione, abnegazione e spirito istituzionale, nel corso degli anni hanno saputo guidare la crescita di questo Ateneo, valorizzandone al meglio le potenzialità e rendendolo competitivo nel panorama formativo nazionale.

Sentiamo profondamente la responsabilità di proporre soluzioni, di contribuire al miglioramento della situazione economica e sociale del contesto territoriale di riferimento, di dare ai giovani un esempio di impegno e una speranza di impiego.

Fiducioso che sapremo, tutti insieme, affrontare con rigore, energia e senza timori questa difficile fase e ringraziando tutti coloro che hanno consentito di raggiungere importanti traguardi, con vera gioia, con commozione e con orgoglio, con un piede nel passato e lo sguardo diritto ed aperto nel futuro, dichiaro aperto l’anno accademico 2012/2013 dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.