Prolusione - Giovanni Brancaccio - Professore di Storia Moderna e Contemporanea

"Idea e storia d’Europa nella storiografia italiana del secondo Novecento"
Giovanni Brancaccio

«Oggi appare esigenza inderogabile l’unità politica dell’Europa, se si vuole che essa possa esercitare ancora una influenza determinante nel mondo, in difesa dei valori della civiltà, col peso dei suoi più di trecento milioni di uomini, col prestigio della sua tradizione, con la potenza della sua attività produttiva. Ma per giungere all’unità politica dell’Europa non bastano le ragioni dell’economia. I popoli, come gli individui, non vivono di solo pane. Bisogna che l’Europa ritrovi la sua anima perduta. E l’Europa può ritrovare la sua anima solo nella tradizione della sua civiltà, in quella tradizione umana, che dai primi filosofi greci fino ad Einstein, ha nutrito il pensiero dell’Occidente, nel culto della verità» (1).
Così si esprimeva Raffaello Morghen a conclusione del suo volume L’idea di Europa, apparso sul finire del 1960. C’era nelle parole dello storico romano, che oggi risultano di forte attualità, la convinzione che l’Europa, sprofondata in una grave crisi e divisa allora politicamente in due opposti tronconi: l’uno Euro-atlantico e l’altro Euro-asiatico, potesse ritrovare la sua vera anima nella tradizione religiosa cristiana. Solo un umanesimo cristiano, infatti, a suo avviso, avrebbe potuto rinvigorire e rinnovare «i tessuti anemici e sclerotizzati della civiltà europea» (2); avrebbe potuto assicurare nuova linfa al sentimento ed all’idea d’Europa, intesa come storia dello svolgimento dei suoi fondamentali motivi spirituali, culturali, politici, sociali e economici; avrebbe potuto ricomporre la frattura tra la cultura laica moderna e la tradizione religiosa; avrebbe potuto garantire «un nuovo equilibrio tra le esigenze dell’autorità e quelle della libertà, tra l’iniziativa individuale e le necessità organizzatrici della produzione di massa»; avrebbe potuto, infine, attuare «una più equa distribuzione della ricchezza e un più alto ideale di vita umana e civile» (3).

La crisi europea

Ma, ciò che più conta osservare è che la persistenza degli aspetti deteriori della crisi europea, culminata nella follia distruttrice delle due guerre mondiali e nella pesante “cortina di ferro” calata all’indomani del secondo conflitto mondiale sull’Europa, non era riuscita a scalfire la profonda fede che lo storico  nutriva nell’avvenire dell’Europa e della sua civiltà. Nel ripercorrere la storia dell’idea di Europa, Morghen individuava nel Medioevo e nell’Età moderna due tappe fondamentali, che avevano dato a essa un contenuto diverso, ma anche profonde radici comuni. Mentre nel Medioevo l’elemento preminente era stato quello religioso, tanto che il cattolicesimo romano era riuscito ad assicurare all’Occidente latino-germanico un’unità di fondo, per cui l’Europa si era identificata con la christianitas, cioè con la forma politico-religiosa dell’Impero cristiano di Carlo Magno, Ottone III e Federico Barbarossa; nell’Età moderna, invece, l’idea di Europa si era attuata nel sistema politico dei grandi Stati occidentali e mediterranei, legati non più da vincoli di religione, perché la Riforma aveva infranto l’unità religiosa, bensì da motivi di equilibrio geopolitico nella lotta per la supremazia ed il predominio (4). Cosicché, l’idea di una società civile, ordinata secondo i dettami della ragione, aveva finito per sostituire il collante rappresentato dalla professione della stessa fede religiosa.

E, infatti, dall’Europa dell’Illuminismo era nata l’Europa delle rivoluzioni politiche, nazionali, sociali, degli ideali civili, di cultura e della lotta per la libertà di coscienza. Ma, il liberalismo e l’idea di nazionalità, perdendo, ben presto, «il loro alone ideale di religione della coscienza e della patria» (5), avevano assunto le forme esasperate dell’individualismoe della volontà di potenza degli Stati. La nascita del nazionalismo ed il coevo affermarsi del colonialismo e dell’imperialismo avevano, quindi, determinato il dissolvimento della grandezza europea. È significativo al riguardo che uno storico come il Salvatorelli, che come il Morghen scorgeva una permanente rilevanza della religione e della religiosità nella vita e nella storia, avesse sostenuto qualche anno prima sulle pagine del settimanale La Nuova Europa, che fu, nonostante la brevità della sua vita (dicembre 1944/marzo 1946), una delle «maggiori realizzazioni giornalistiche della rinascente democrazia in Italia» (6), che la pace e la ricostruzione sul continente non sarebbero state possibili senza l’abbandono del principio dell’assoluta sovranità nazionale, che se aveva avuto una funzione positiva per l’Europa dell’800, si era poi trasformato nel secolo XX in un «virus mortifero» per l’Europa ed il mondo. Né il Morghen ravvisava nel solo nazionalismo la causa della crisi europea. Allo storico romano, infatti, non sfuggiva che la rivoluzione industriale, che pure aveva garantito all’umanità straordinari strumenti per dominare le forze della natura, per attuare l’ideale di una civiltà fondata sulla coopera-zione dei popoli e sull’elevazione di tutta la società umana senza distinzione di razza o di classe, aveva concorso, grazie al forte progresso tecnico registratosi negli ultimi decenni, alla nascita del mito del benessere, alla diffusione dell’idea fuorviante che il livello di una civiltà si misura sui consumi (7).

Federico Chabod - Storia dell’idea d’Europa

A distanza di appena un anno dalla pubblicazione dell’opera del Morghen, Ernesto Sestan ed Armando Saitta davano alle stampe il volume postumo di Federico Chabod Storia dell’idea d’Europa (8). In realtà, sul tema dell’idea d’Europa e di nazione lo Chabod si era già soffermato una quindicina di anni prima, dedicando ad esso il corso tenuto presso la Facoltà di Lettere di Milano nell’anno accademico 1943-44, e sullo stesso argomento lo storico valdostano era poi ritornato, con più circostanziate considerazioni, senza però apportare alcuna modifica alle linee generali della trattazione, nella prolusione romana del gennaio del 1947 e nel corso di lezioni dell’anno accademico 1958-59 (9).

Nell’introduzione al corso milanese, tenutosi – come si è detto – nel 1943-44, quando i segni dell’imminente sgreto-lamento dei regimi reazionari di massa, assertori di un nuovo assetto dell’Europa sotto i segni della svastica e del fascio littorio, apparvero ormai manifesti, Chabod stigmatizzava che negli ultimi anni si era molto parlato di Europa, di civiltà europea, di anti-Europa e di forze avverse alla civiltà europea, senza che gli studiosi pervenissero ad un concetto definito di Europa, che rimaneva ancora troppo vago (10). Chabod dichiarava che il suo intento non era quello di scorrere le fasi salienti della storia d’Europa attraverso la ricostruzione degli eventi politici, militari ed economici, bensì di fare luce sulla funzione storica assolta dal concetto d’Europa, sul suo lento trasformarsi da «pura nozione in aspirazione e volontà, da “conoscenza” in “valore”» (11).

Sotto l’impulso della profonda risonanza etica e spirituale che suscitava in lui lo studio di quel tema, Chabod si propose infatti di tracciare la storia dei «pensieri» sull’Europa, di affrontare quel problema storiografico, «strettamente allacciato» agli scottanti problemi del presente, senza tuttavia cadere nelle insidie di lasciarsi guidare dai «nostri pensieri e affetti e ansie di oggi», senza alterare «la specificità irrinunciabile della storiografia come disciplina e come metodo» (12). Chabod si sforzava così di risalire alla genesi del concetto stesso di Europa, all’affermarsi dell’Europa politica, culturale e morale, al delinearsi dell’Europa come individualità storica, dotata di una sua tradizione, che avrebbe impresso nel corso dei secoli un’impronta incancellabile. In realtà, ciò che premeva a Chabod non era tanto o non era soltanto ricercare le basi dell’unità culturale europea, riandare alle origini della Europa e fissarne i tratti distintivi, quanto individuare l’emergere della «coscienza» europea che, a suo avviso, andava ricercata nell’Età moderna. La «coscienza» europea, la differenziazione cioè dell’Europa come entità politica e morale diversa da altri continenti o gruppi di nazioni si era infatti avuta nei secoli dell’Evo moderno, anche se di civiltà europea si poteva parlare sin dal mondo antico e ancor più dal trionfo del cristianesimo (13).

Chabod, però, sottolineava che il pensiero politico medievale poggiava sull’idea di christianitas e non su quello di Europa, il cui vocabolo era sì allora usato, ma in senso esclusivamente geografico e peraltro non esteso all’intero continente (14). Perché si affermasse il termine europaeus, che fu coniato da Enea Silvio Piccolomini, bisognò attendere il secolo XV. Spettò, invece, a Machiavelli la prima formulazione dell’Europa, intesa come una comunità dotata di sue proprie specificità politiche. Con il Segretario fiorentino l’Europa cessò di essere sinonimo di christianitas e di Impero medievale ed assunse tratti originali, imprescindibili dalla sua organizza-zione politica, vera garanzia della sua «libertà» contro i tentativi volti ad instaurare una «monarchia universale» (15).

L'Europa

L’Europa, insomma, si distingueva dalle altre realtà politiche, in particolare dai regimi dispotici asiatici, perché si configurava come un corps politique unitario ma non unito, dominato, nonostante la divisione in vari organismi statali e la pluralità di volontà politiche, da una serie di principi comuni. Ad accentuare i lineamenti morali dell’Europa fu la conoscenza, grazie alle grandi scoperte geografiche, di nuovi mondi, che segnò il definitivo tramonto della sua equivalenza con la res publica christiana. E, con il processo di dissolvimento del vecchio ideale, messo in moto dalla Riforma e dalla laicizzazione del pensiero, venne fuori più «chiara e netta» l’idea di Europa (16). Certo – osservava acutamente Chabod – l’analisi comparativa tra Europa e Nuovo Mondo fece maturare anche una polemica antieuropea, che, destinata a durare nel tempo e ad alimentare il mito dei felici mondi lontani e del buon selvaggio, sarebbe culminata nel vagheggiamento rousseauiano dello stato di natura. Tuttavia, l’Europa, rispetto alle società primitive del Nuovo Mondo, poteva contare su una società assai più evoluta e civile, i cui tratti peculiari sarebbero stati meglio delineati, tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, dalla letteratura dei  pseudo-viaggi, a partire dalle Lettres persanes (1721) del Montesquieu, per il quale ciò che differenziava l’Europa dall’Asia non era soltanto il suo più vario e complesso sistema politico, garante di un insieme di libertà e di virtù civili estranee ai paesi dell’Oriente, ma anche gli usi, i costumi europei, in particolare l’esprit de société, cioè la socievolezza, e la «passione, la febbre per il lavoro», elementi fondanti il concetto di civilisation e d’Europa.

Al primato politico dell’Europa individuato dal Montesquieu nel sistema di Stati fondato sul principio dell’equilibrio, Voltaire oppose nel Siècle de Louis XIV quello delle arti, delle lettere, delle scienze e del prodigioso sviluppo scientifico, insomma, dell’unità culturale e spirituale europea. Fu, dunque, nel Settecento che l’Europa fu concepita come un unico corpo politico-culturale, con identiche forme di produzione e di scambio, con comuni istituti di diritto pubblico e privato (17). Sennonché, proprio mentre il senso europeo si affermava così fortemente, l’emergere dell’idea di nazione con la propria individualità, l’affermarsi della nazione come «coscienza» e non come fatto etnico-linguistico, già esistente da secoli, finì per determinare una forte polemica contro l’europeismo. Per Rousseau, infatti, che certo non misconosceva l’unità civile dell’Europa, bisognava salvaguardare la «originalità» delle singole nazioni. Ma, ciò su cui maggiormente insisteva Chabod è che, nonostante il divampare della passione nazionale, nonostante il conflitto tra le principali individualità nazionali ed il cosmopolitismo settecentesco, l’Europa non perse il senso della sua unità di cultura, di modi di vita e soprattutto di principii. Né fra le due forti idealità Europa/nazione cessarono, per così dire, i rapporti; anzi, Mazzini, ponendo in connessione strettissima la nazione con l’umanità, teorizzò la nascita della giovine Europa, auspicò il trionfo dell’Europa dei popoli, che avrebbe dovuto prendere il posto della vecchia Europa dei prìncipi, la nascita cioè di un nuovo organismo politico democratico, in grado di tutelare sia i diritti delle singole nazioni, delle civiltà nazionali, sia i diritti dell’Europa sentita come comunità maggiore (18).

La sensibilità mostrata verso la grande tradizione storiografica europea dell’800, che aveva affrontato i problemi della civiltà e della libertà moderna, spingeva Chabod a concludere la sua ricerca, soffermandosi sulla Histoire générale de la civilisation en Europe del Guizot, nella quale lo storico liberale francese, ripercorrendo le fasi dello sviluppo dell’idea d’Europa fra Settecento ed Ottocento, colse l’apporto originale dato dal Romanticismo nell’armonizzare le esigenze diverse dell’unità e della varietà e nel porre fine alla polemica nei confronti della religione (19). Al Guizot, inoltre, Chabod riconosceva il merito di avere con la sua ponderosa opera instillato nella coscienza europea il senso della storia trionfante nel secolo XIX. Nel che si può cogliere non solo come, per Chabod, storicità e storiografia fossero elementi fondamentali, costitutivi la cultura europea, e quindi l’identità dell’Europa, quanto si può inferire come nell’antitesi Civilisation/Kultur, nella contrapposizione fra storia e sociologia, Chabod non avesse dubbi a propendere a favore della prima (20). Nei decenni seguenti – commentava amaramente lo storico valdostano – lo smisurato orgoglio nazionale e l’estremismo nazionalistico avrebbero però svolto un ruolo funesto per l’Europa e per l’idea stessa dell’unità civile europea. L’Europa visse allora il momento più tragico della sua storia plurisecolare, dal quale uscì prostrata e immiserita materialmente, ma non moralmente. E, proprio nel pieno ricupero dell’alta dimensione morale e culturale europea Chabod, superando il suo scetticismo iniziale, ripose le sue speranze sull’avvenire dell’Europa (21).

La storiografia italiana ed europea

Nel pieno della profonda crisi di identità vissuta dalla storiografia italiana ed europea nella seconda metà del Novecento – crisi, come è noto, relativa sia ai compiti del sapere storico che ai suoi aspetti metodologici e non disgiunta dalla coeva crisi delle scienze e della coscienza europea provata fortemente dalla crisi jugoslava e dall’acutizzarsi di violenti conflitti etnico-politici (22) – Giuseppe Galasso dava alle stampe, nel 1996, una monumentale Storia d’Europa in tre volumi, che rispondeva – ha rilevato, di recente, Gilles Pécout – al progetto «faire l’Europe», cioè «faire l’histoire de l’idée européenne et de l’Europe», proposto in quell’anno da talune importanti case editrici europee (23).

Alla tesi di Jacques Le Goff, per il quale l’Europa è figlia del Medioevo, Galasso replicava con una storia di lunga durata, che risaliva all’Età antica, durante la quale si ebbero con Atene e Roma le prime forme di mondializzazione culturale e politico-economica e la prima segmentazione intraregionale dell’Europa. Ribaltando la posizione interpretativa condivisa da larga parte della storiografia internazionale, Galasso anticipava ai secoli delle invasioni barbariche la nascita della Europa, «quale poi geograficamente e storicamente è stata sentita e concepita» (24).

Tuttavia, fu con la «piccola Europa di Carlomagno» e con il trionfo delle città marinare del Mediterraneo, che l’Europa, articolata in una gerarchia regionale di tipo geopolitico, pose le premesse per la sua affermazione nel mondo. Il suo primato si ebbe, però, soltanto nell’Età moderna, che Galasso, superando la tradizionale ripartizione cronologica, estendeva sino alla seconda metà dell’800. A partire dagli ultimi decenni del ‘400, infatti, la modernità europea assunse un ritmo frenetico; il moltiplicatore culturale, che si avvalse dell’uso di una lingua franca: il latino, quello militare, politico, finanziario, commerciale, economico e l’avanzamento tecnico e scientifico proiettarono l’Europa al centro della storia del mondo, in una posizione di indiscusso dominio, che sarebbe durato almeno fino alla prima guerra mondiale.

Da un insieme di sistemi regionali l’Europa si configurò come un unico grande sistema, retto dal principio dell’equilibrio, che fu spazzato via nel 1789 (25). Nel corso dell’800, la rivoluzione culturale del Romanticismo e l’affermarsi del binomio libertà/nazione segnarono, per Galasso come già per Chabod, la nascita di una nuova Europa «più saggia, più matura e più positiva», il cui principale segno distintivo trovò concretezza, ancora una volta, nella modernità politica, fondata sui valori del liberalismo e della democrazia (26). Ma, lo scoppio della «guerra civile europea», la lacerazione del tessuto e della coscienza europea, il precario ritorno alla pace, la rivoluzione russa, il fascismo e il totalitarismo determinarono l’insorgere di un nuovo panorama ideologico-politico, che, opponendo al tradizionale pluralismo europeo il monismo delle opzioni totalitarie, attentò profondamente alle libertà civili e politiche dell’Europa, che visse la tragedia di una nuova guerra interna. Ciò nondimeno, nel ventennio tra le due guerre furono poste le basi della cultura e del pensiero, sulle quali sarebbe stata edificata l’Europa postbellica, figlia della «sua storia come passato e della sua storia come coscienza di sé» (27). Un’Europa, tuttavia, ridimensionata, in declino e non più protagonista della storia mondiale, ma destinata ad incamminarsi lungo un processo unitario di costruzione pragmatica e gradualistica.

All’inizio degli anni Novanta, con il crollo del «socialismo reale», l’Europa attraversò una fase di forte ricupero delle sue energie e dei suoi valori, e, anche se molti paesi furono afflitti da pressanti problemi monetari e di finanza pubblica, dovuti al costo dello Stato sociale, ma anche al corso delle attività economiche e delle connesse vicende del mercato, essa partecipò, certo non da semplice testimone, al processo della globalizzazione, che non comportò un’indifferenziata omogeneizzazione. A fronte del forte ruolo ricoperto dall’Europa nell’economia internazionale, il pensiero politico-istituzionale europeo si mostrò, però, debole, incapace a «costruire e proporre nuovi moduli di governo e di amministrazione»(28). Alla floridezza economica dell’Europa, infatti, non si accompagnò un’uguale ripresa del suo ruolo politico nel mondo; né gli Stati europei riuscirono a trasformare in realtà politica la Comunità Economica. Il principale ostacolo alla formazione di una «nazione europea» forte e solida fu, per Galasso, dovuto alla «coscienza europea nel suo sentimento di sé e nei suoi rapporti con la storia del mondo» (29), all’incapacità cioè degli europei di sbarazzarsi dell’idea dell’Europa «causa di tutti i mali del mondo» e dell’idea dell’Europa «unico cuore» dell’umanità. Con la sua opera Galasso forniva un’idea complessa ed articolata dell’Europa, della sua straordinaria originalità e creatività, che fu prorompente nei secoli d’oro, e intravedeva nel suo eccezionale rilievo, nel suo valore il fonda-mento imprescindibile del futuro prossimo e lontano della storia dell’uomo.  Ma, soprattutto con la sua Storia d’Europa Galasso, nella piena certezza che la storia è, insieme con le scienze, una delle principali connotazioni dell’identità europea, rispondeva al bisogno fondamentale di capire cosa sia stata l’Europa (30). «Un bisogno – osservava finemente lo storico napoletano, ponendosi come uno dei principali assertori di una petizione storiografica umanistica e storicistica – a cui non poteva venire incontro che la storia, questo modo di essere e di operare del pensiero così tipicamente, genialmente, fecondamente europeo, del quale l’Europa stessa ha originalmente inventato e teorizzato la dimensione, i moduli, i metodi», e non poteva non venire incontro la storia delle storie d’Europa, nella cui ricca materia Galasso, ribadendo l’indissolubilità del binomio storia/ storiografia, scorgeva il riflesso dellesperienza europea (31).

Note
  1. Cfr. R. Morghen, L’idea di Europa, Torino, Eri, 1968, II edizione, p. 219.
  2. Ibidem.
  3. Ibidem.
  4. Ivi, pp. 75-119.
  5. Ivi, p. 208.
  6. Cfr. G. Galasso, Profilo di Salvatorelli, in Idem, Storici italiani del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 92-95. Alla storia d’Europa Salvatorelli dedicò i seguenti volumi Profilo della storia d’Europa (1942); Storia d’Europa (1942); Venti anni fra le due guerre (1941); Storia del Novecento (1957); Un cinquantennio di rivolgimenti mondiali (1972). Su «La Nuova Europa», cfr. G. Brancaccio, Lettura di una rivista laica: «La Nuova Europa» (1944-1946), «Prospettive Settanta», 2, 1980, pp. 217-233; Idem, Etica e politica in una rivista laica del secondo dopoguerra: «La Nuova Europa», in «Itinerari», Quaderni di Studi di etica e di politica, n. s., 1, 2011, pp. 127-138; E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1960, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 507-532.
  7. Cfr. R. Morghen, L’idea di Europa, cit., pp. 217-218.
  8. Cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di E. Sestan e A. Saitta, Bari, Laterza, 1961. Al riguardo cfr. B. Vigezzi, Federico Chabod e l’idea di Europa. Tra politica e storia, in Nazione, nazionalismo ed Europa nell’opera di Federico Chabod, Atti del Convegno di Studi (Aosta 5-6 maggio 2000), a cura di M. Herling e P. G. Zunino, Firenze, Olschki, 2002, pp. 179-201; J. S. Woolf, Reading Federico Chabod’s Storia dell’idea d’Europa half a century later, ivi, pp. 203-246.
  9. E. Sestan e A. Saitta, Prefazione a F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Bari, Laterza, 1967, (III ed.), p. 5.
  10. Cfr. G. Galasso, La storiografia italiana dopo Chabod, in Idem, storici italiani del Novecento, cit., p. 122.
  11. Cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., pp. 23-41.
  12. Ivi, pp. 42-47.
  13. Ivi, pp. 48-53.
  14. Ivi, pp. 56-57.
  15. Ivi, pp. 58-99.
  16. Ivi, pp. 122-136. Sull’emergere dell’idea di nazione nella storia europea cfr. dello stesso Chabod, L’idea di nazione,  a cura di A. Saitta e E. Sestan, Bari, Laterza, 1967. Sulla idea di nazione di Mazzini, cfr. G. Mazzini, Lettere slave e altri scritti, a cura di G. Brancaccio, Milano, Biblion, 2007.
  17. Cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., pp. 137-157.
  18. Cfr. G. Galasso, Federico Chabod, in Idem, Storici italiani del Novecento, cit., pp. 97-113; A. Momigliano, Appunti su F. Chabod storico, in «Rivista storica italiana», LXXII, 1960, pp. 644 ss.
  19. Cfr. F. Chabod, Idea di Europa e politica dell’equilibrio, a cura di L. Azzolini, Bologna, Il Mulino, 1995.
  20. Cfr. G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000. Per una diversa impostazione metodologica, che risente la forte influenza dell’elemento storiografico gramsciano, cfr. R. Romano, La storiografia italiana oggi, Roma, Espresso Strumenti, 1978.
  21. Cfr. G. Galasso, Storia d’Europa, Roma-Bari, Laterza, 1996, 3 voll.; G. Pécout, Historien du long Risorgimento européen, in A. Musi e L. Mascilli Migliorini (a cura di), L’Europa e l’Altra Europa. I Libri di Giuseppe Galasso, Napoli, Guida, 2011, p. 229.
  22. Cfr. G. Galasso, Storia d’Europa, cit., vol. I, Antichità e Medioevo, p. 158.
  23. Cfr. G. Galasso, Storia d’Europa, cit., vol. II, Età moderna, pp. 82-92.
  24. Cfr. G. Galasso, Storia d’Europa, cit., vol. III, Età contemporanea, pp. 3-16.
  25. Cfr. G. Galasso, Storia d’Europa, cit., vol. III, Età contemporanea, p. 396.
  26. Ivi, p. 462.
  27. Ivi, p. 500.
  28. Cfr. G. Galasso, Nell’Europa dei secoli d’oro. Aspetti, momenti e problemi dalle “guerre d’Italia” alla “Grande Guerra”, Napoli, Guida, 2012, pp. 55-57.
  29. Cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958; A. Caracciolo, Europa: il problema storiografico, in Storia d’Europa, vol. IV, La dimensione continentale, a cura di B. Bongiovanni, G. C. Jocteau, N. Tranfaglia, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 1549-1560; B. Vigezzi e M. Benzoni (a cura di), Storici e storie d’Europa, Milano, Unicopli, 2001; M. Verga, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci, 2004.